Torino e The Strongest: lontane vicine nella tragedia sportiva

Ultima fotografia della squadra in campo a Santa Cruz a poche ore dall’imbarco fatale. In piedi: Marchetti, Porta, Cáceres, Flores, Franco e Arrigó. In ginocchio: Díaz, Flores, Tapia, Alcázar e Durán. Fonte: Historia del futbol boliviano

«Un atroce lutto per Torino e per il nostro sport», recitava così l’occhiello dell’articolo datato 5 maggio 1949 sul «Corriere della Sera». La firma era quella di Dino Buzzati, a lui toccò scrivere della prematura e violenta scomparsa della squadra granata che, da quel momento in poi, verrà comunemente identificata col nome di Grande Torino.

Vent’anni dopo, il 26 settembre 1969, accadde un avvenimento simile dalla parte opposta del globo: in Bolivia. Un aereo della Lloyd Aéreo Boliviano (Lab) si schianta contro le montagne che sovrastano la località mineraria di Viloco, a più di cinquemila metri d’altitudine. L’aereo stava tornando all’aeroporto di La Paz dopo essere partito da Santa Cruz e trasportava, tra gli altri, i calciatori di una delle squadre più longeve e rappresentative del paese: The Strongest [la più forte]. Anche in quel caso nessun superstite.

La tragedia e il golpe di Candia

L’Italia del ‘49, appena uscita con le ossa rotte dal secondo conflitto mondiale, stava faticosamente facendo i conti con se stessa: la Repubblica era appena nata e il calcio stava aiutando a far dimenticare l’orrore del nazifascismo. Quantomeno ci provava.
La Bolivia del ‘69, allo stesso modo, aveva vissuto un ulteriore stravolgimento nel governo del paese: il 26 settembre si verificò il centottatesimo colpo di stato in centoquarant’anni di storia. Stavolta senza (troppo) spargimento di sangue: il presidente eletto, Barrientos Ortuño, era già morto in aprile in un altro incidente aereo (in elicottero). Siles Salinas, l’uomo che successe al defunto Ortuño, governò quattro mesi e ventitré giorni, dopodiché il generale Osvaldo Candia si presenta a Palacio Quemado (bruciato, a causa di un’altra rivolta tempo addietro) e indica la porta d’uscita a Salinas.

Quel giorno di settembre, però, l’attenzione della Bolivia era altrove. È un’altra la notizia che vola di bocca in bocca e inizia a circolare freneticamente: un aereo è scomparso con 74 passeggeri a bordo e il velivolo con i giocatori del The Strongest, atteso nel primo pomeriggio, avrebbe già dovuto essere rientrato a La Paz. S’impiega poco a collegare le cose: l’aereo del The Strongest è scomparso. “Che se ne vada al diavolo l’ennesimo golpe!”: una folla inizia a radunarsi attorno al civico 1319 di Calle Commercio di La Paz, allora sede della squadra giallonera. 7

«Que nos perdone, Dios!»

Il giorno successivo sui quotidiani boliviani ci saranno due notizie a farla da padrone: il nuovo presidente assicurerà pace e prosperità al Paese (l’importante è che non vi siano guastatori o disfattisti che si frappongano fra lui e il suo progetto riformatore); l’aereo con i giocatori gialloneri è dato per disperso. Nessuno vuole credere alle voci che si rincorrono impazzite: «dirottamento aereo». Sarebbe troppo, anche se è il 1969 e in Bolivia accaddero fatti incredibili. Quattro giorni dopo un gruppo di alpinisti, un sacerdote-alpinista e un giornalista del quotidiano «Hoy», scoprirà il relitto dell’aereo e i cadaveri del The Strongest. Padre Ferrari, missionario bergamasco e avvezzo a praticare alpinismo in entrambe le sue patrie (Italia e Bolivia), fu il primo del gruppo che vide quanto accaduto: «Que nos perdone Dios!», aveva ripetuto tre volte alle 12:00 del 27 settembre 1969. In Italia, due giorni dopo l’accaduto, il quotidiano che dà maggior rilievo alla notizia è «La Stampa»: «Come il Grande Torino a Superga nel 1949. Precipita sulle Ande un aereo con la squadra campione della Bolivia […] Tra i morti Julio Diaz e altri giocatori della nazionale». Non solo: Juan Iriondo, di etnia aymara e amatissimo dalla popolazione, ed Hernan Alcazar furono ritrovati abbracciati semi carbonizzati: intuendo la fine vicina, si strinsero in un abbraccio negli ultimi istanti del volo.

La Bolivia era a pezzi: il golpe passò decisamente in secondo piano, data la tragedia che era capitata alla squadra più forte – di nome e di fatto – del paese.
Tutta l’America Latina partecipò alla ricostruzione del The Strongest: il Boca Juniors inviò due ottimi giovani calciatori, altri giunsero perfino dagli arcinemici del Bolivar; in Brasile venne organizzato el clásico tra Flamengo e Fluminense i cui proventi andarono tutti alla società boliviana; infine, l’allora presidente della Conmbebol donò ventimila dollari americani (allora una cifra faraonica) per la ricostruzione del club.

Da quel momento in poi, entrambe le squadre (Torino e The Strongest) vennero ricordate come le migliori di sempre, ineguagliabili nella loro grandezza e bravura. Poco importa se i gialloneri del The Strongest si fossero imbarcati su quell’aereo con il morale a terra: la squadra aveva partecipato ad un torneo amatoriale della federazione calcistica della città di Santa Cruz ed era sconfitta sia dall’Oriente Petrolero (altro club storico del paese), sia dai paraguaiani del Cerro Porteño, sia da una compagine cittadina (che non aveva neanche un nome!). Sarà per sempre ricordata come gloriosa Strongest.

Se vuoi conoscere di più della storia del The Strongest e del futbol boliviano ti tocca leggere «La più forte – The Strongest e altre storie del calcio in Bolivia»

All’inizio del 1900, dall’altra parte del mondo, un gruppo di giovani di La Paz, vestiti con magliette dal colore simile a bande giallo nere, sta andando a farsi scattare una foto allo storico studio fotografico Cordero, in pieno centro città. Il proprietario ha affisso una pubblicità scritta a mano assicurando fotografie meravigliose grazie a nuovissime lenti acquistate recentemente.
I ragazzi sono fieri e orgogliosi: «Sta per nascere una squadra di calcio a La Paz», dicono. E non sarà come quelle che fino a quel momento stavano popolando il panorama calcistico amatoriale cittadino: la squadra non si scioglierà mai. Lo giurano solennemente. Sarà anche la più forte di tutte le altre.
È l’8 aprile 1908 e 12 ragazzi firmano l’atto di nascita della squadra più longeva della Bolivia: The Strongest, la più forte.
In inglese suona meglio di “la más fuerte”.🟡⚫

” La più forte – The Strongest e altre storie di calcio in Bolivia”, pubblicato da Rogas Edizioni, è disponibile da giugno! 📚

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¡Kalatakaya Warikasaya!

Un viaggio in una terra calcisticamente affascinante ma poco battuta: la Bolivia. Un luogo in cui il “grito sagrado” Kalatakaya Warikasaya (letteralmente “rompe la pietra, trema la vigogna”) è diventato motto del club The Strongest nel corso della sua storia, che esprime la forza che come il vento dell’Altiplano è capace di “rompere le pietre” e far tremare uno degli animali più resistenti delle montagne, la vigogna. Una frase che da decenni viene ripetuta dai diversi capitani e soprattutto dai sostenitori di un club la cui storia gloriosa e tormentata, come quella della nazionale boliviana, la “Verde”, che dai giocatori della Strongest è spesso stata composta. “La più forte – The Strongest e altre storie del calcio in Bolivia” per Rogas Edizioni, con la prefazione di Luca Pisapia, è ufficialmente in vendita.

Grazie alle amiche e agli amici, a tutte e tutti coloro che vorranno sostenere questo progetto!

Bolivia: il titolo va alla Strongest tra interruzioni, accuse e polemiche. Retrocede il Palmaflor di Evo Morales (ma la “Serie B” non esiste)

Continuano le polemiche attorno al sistema di corruzione e combine nel calcio boliviano. 

 
La squadra paceña The Strongest conquista il sedicesimo titolo della sua storia con una settimana di anticipo. Los tigres possono fregiarsi di un’ulteriore vittoria – al momento matematica – mentre volge al termine una delle edizioni più controverse e difficili della Primera Division boliviana costellata da interruzioni di campionato, accuse di partite truccate, corruzione e – addirittura – collusione col mondo del narcotraffico [1]. Chi è costretto ad abbandonare la massima serie boliviana, invece, è il Palmaflor, dell’ex Presidente Evo Morales, nonché rappresentante il sindacato dei cocaleros. L’abbandona ma senza andare in seconda divisione perché, semplicemente, non esiste: la Bolivia è l’unico paese affiliato alla Conmebol a non prevedere una Serie B.
 
Il Presidente della Federcalcio boliviana Fernando Costa, fin dall’emersione del caso, ha costantemente rilasciato dichiarazioni alla stampa senza fare nomi ma parlando di una rete di corruzione piuttosto estesa. Costa – come recita il quotidiano boliviano «El Diario» – ha «smesso di fare speculazioni». Nella conferenza stampa, tenutasi a Cochabamba il 30 novembre, il presidente della Fbf ha dichiarato la Strongest: «campioni giusti e meritevoli» e anche: «non so perché siano stati messi in discussione: i risultati sono chiari a tutti e, dati i punti ottenuti, la Strongest è matematicamente irraggiungibile».
 
Niente più speculazioni: la Strongest è stata la più forte del campionato, letteralmente parlando.
Tuttavia, specie in queste situazioni, il ma c’è sempre. «Nelle ultime ore – ha proseguito Costa – le reti sociali, e non, si sono riempite di messaggi e di commenti, nonché d’ipotesi, secondo cui, a causa dell’inchiesta relativa alle partite truccate, alcuni club avrebbero perso punti guadagnati nelle partite contro il Vaca Diez»
 
Ancora una volta Costa non fa nomi ma riporta i commenti che sono giunti al suo apparato uditivo riguardo le gare disputate contro il Vaca Diez, al momento uno dei club più a rischio. In settembre «Marca» diffuse gli argomenti di alcune intercettazioni telefoniche e tra i nomi più invischiati parrebbe esserci stato proprio il presidente del Vaca Diez in cui, stando al quotidiano ispanofono: «in una conversazione telefonica, presumibilmente il presidente Marco Rodriguez, parla con un arbitro per fissare il numero di gol da segnare in una partita». 
 
Uno dei più grandi scandali calcistici dell’ultimo ventennio è ancora ben lontano dall’essere risolto, anzi: Costa ha confermato che il 5 dicembre si riuniranno a Santa Cruz gli organismi della giustizia sportiva al fine di valutare ufficialmente i tornei del 2023 (campionato e coppa). Non solo: Costa ha aggiunto che sarà convocato a breve un congresso straordinario della federazione
«Nei prossimi giorni – ha concluso – presenteremo un piano di ristrutturazione del calcio boliviano»
 
Chissà che non si metta finalmente mano alla struttura professionistica e alla questione legata alla seconda serie. Il Palmaflor, come prima accennato, abbandonerà la Primera Division ma in Bolivia non esiste una serie B: la massima serie (che per ragioni di sponsorizzazione da un decennio è la Liga Tigo) non prevede la retrocessione [2] e il solo gradino “inferiore” è la coppa Simon Bolivar, organizzata dalla Anf (Asociación Nacional de Fútbol) e articolata in sette gironi da tre squadre ciascuno comprendenti società semiprofessionistiche e di base.
 
Ma ancora una volta, in pieno stile Costa, non è stato né annunciato nulla, né lasciata trapelare alcuna informazione. 
 
NOTE

[1] Le accuse giunsero dal presidente della Fabol (associazione dei calciatori) Erwin Romero

«Un paio di anni fa pensavamo di aver toccato il fondo […] pensavamo di non poter andare peggio e invece nulla è impossibile e ora siamo molto peggio di prima. È di dominio pubblico che il narcotraffico ha trafitto il nostro calcio e la stessa federazione ha denunciato l’esistenza di possibili reti di scommesse illegali e partite truccate».

[2] Esiste la “discesa diretta” e “indiretta” per cui vengono sommati i punti totali realizzati nel girone di apertura e clausura 

 

Corruzione e sospensioni ai campionati professionistici: la lunga notte del calcio in Bolivia

Nel complesso sportivo “Camoco Chico”, nella zona del Macrodistrito Maximiliano Paredes, le attività legate allo sport di base si susseguono incessanti. Ad ogni ora del giorno è possibile vedere le squadre di calcio femminile che si allenano, i bambini (coi loro cappelli per proteggersi dal sole ustionante che batte a 3600 metri d’altezza) che si dispongono in campo secondo le indicazioni dei loro allenatori, atlete e atleti nelle piste poste al lato della struttura. Capita anche di vedere qualche partita ufficiale del variegato mondo dilettantistico-amatoriale di La Paz: oltre alle attività che in Italia verrebbero considerate “di base” (scuola calcio e campionati conseguenti per adolescenti a diversi livelli di capillarità territoriale) si tengono anche le leghe seniores, ovvero per chi ha compiuto dai 37 anni in su. Insomma: calcisticamente parlando tutto sembra scorrere in quella che è a tutti gli effetti una tranquilla, fresca e assolata giornata di metà settembre.

Il punto è, sempre calcisticamente parlando, che la Bolivia ha evidentemente vissuto tempi migliori per quel che riguarda il mondo del professionismo legato al calcio a 11 maschile. Da metà agosto tutti i campionati professionistici, compresa la Liga (cioè la massima serie) sono stati interrotti: stop totale. Un mese nefasto per il calcio boliviano che già da tempo languiva e non godeva di buona salute a causa di dichiarazioni incrociate tra presidenti ed esponenti di primo piano delle federazioni calcistiche di calciatori e dell’organizzazione generale.

La punta dell’iceberg è stata rivelata il 30 agosto [2023] quando il presidente della Federazione boliviana di calcio, Fernando Costa, ha convocato una conferenza stampa denunciandoma senza fare nomiuna ramificazione piuttosto articolata di corruttela alla base del calcio boliviano. Stando al quotidiano del vicino Perù «La Repùblica» il presidente Costa ha denunciato «tangenti e partite truccate» dietro cui si nasconderebbe «una rete di corruzione composta da dirigenti, ex dirigenti, calciatori e arbitri». In Europa «El Paìs» ha parlato apertamente di «terremoto nel calcio boliviano», a proposito della conferenza della Federazione calcistica tenutasi nella città di Santa Cruz. Ma come ogni avvenimento imponente, le cause sono da ricercare prima del fatto accaduto.
Un altro passo indietro è necessario. 

Partite truccate: la piovra e la cupola

Il primo a dichiarare pubblicamente un fatto simile è stato l’ex presidente boliviano Evo Morales Ayma, ora presidente del Palmaflor (modesta squadra di bassa classifica) che rappresenta un mondo piuttosto influente in Bolivia: i cocaleros. A fine 2022 Morales diventa presidente della squadra di Cochabamba e da quel giorno detiene la doppia carica di presidente del sindacato dei cocaleros (cioè i coltivatori di coca) e della squadra di calcio la cui proprietà è riconducibile all’organizzazione di cui sopra. Il 30 agosto Federico Molina su «El Paìs» scriveva: «Morales, per conto del Palmaflor, aveva dichiarato che la sconfitta di Coppa [contro il Blooming] si sarebbe verificata a causa del “gioco al ribasso” di alcuni giocatori» prima del fischio d’inizio. Parrebbe un’accusa di combine. Molina ha ricordato che queste parole sono state pronunciate dall’ex presidente boliviano nell’ambito delle interlocuzioni tra la federazione calcistica boliviana e l’organizzazione sindacale di cui Morales è presidente riguardo la mancata erogazione degli stipendi ai giocatori del Palmaflor. Accusa e fuoco incrociato. Un litigio, quello tra Palmaflor e Blooming, che non ha mai smesso di cessare: nel marzo di quest’anno le due compagini si sono rese protagoniste della prima partita al mondo durata per tre tempi anziché due, con la terna arbitrale che ha concesso 42 minuti e 11 secondi di recupero. «Niente giustifica il recupero così imponente» commentava «Espn», portale digitale sportivo panamense il giorno successivo della partita: il Blooming stava conducendo la gara ma tra VAR, discussioni tra giocatori, sostituzioni che sarebbero durate un tempo molto più lungo del normale, si è arrivati a disputare tre tempi. Tra pozzanghere e pioggia incessante, decisioni dubbie e tensione alle stelle, la terna arbitrale (tutti paceños) è stata successivamente sospesa. Stessa sorte è toccata al personale addetto al Var (della federazione di Cochabamba). A tal proposito, Morales si è sentito in obbligo di rivelare che qualcosa non stava andando per il verso giusto, o che comunque avrebbe dovuto funzionare diversamente. I quotidiani boliviani allora avrebbero parlato di “presunta mafia”, un termine che riesce ad essere universale anche a distanze siderali dall’Italia. Che Morales abbia messo semplicemente le mani avanti? Non ci è dato saperlo. Almeno non ora. Secondo il quotidiano digitale «la Opiniòn»: «A metà agosto, il presidente del Club Palmaflor del Trópico [Morales] ha affermato pubblicamente che “ci sono giocatori che si accordano per truccare le partite”», il riferimento è al confronto di coppa col Blooming. E ancora si legge: «“Ho delle informazioni, purtroppo non tutti i calciatori sono corretti. Ci sono alcuni che negoziano sottobanco”».

Poi, il proverbiale patatrac.
La Federazione sindacale dei calciatori professionisti boliviani (Fabol), proprio nei giorni di massima tensione di fine agosto, ha respinto la dichiarazione in un comunicato ufficiale, ha chiesto a Morales di provare concretamente le affermazioni esternate, si è dissociata dalle parole dell’ex presidente ma ormai si era sul piano inclinato in cui la biglia può solo schizzare verso il basso.
Fernando Costa ha dato l’annuncio della sospensione del campionato: provvedimento sostenuto con 14 voti favorevoli, 1 astenuto e 2 contrari tra i club partecipanti alla massima serie [17]. Tutto annullato: coppa e campionato di clausura. La classifica congela The Strongest prima, Nacional Potosì al secondo posto, Bolivar al terzo e Always Ready di El Alto al quarto.

«Un paio di anni fa pensavamo di aver toccato il fondo», recita il comunicato di Erwin Romero, presidente della Fabol, «pensavamo di non poter andare peggio e invece nulla è impossibile e ora siamo molto peggio di prima. È di dominio pubblico che il narcotraffico ha trafitto il nostro calcio e la stessa federazione ha denunciato l’esistenza di possibili reti di scommesse illegali e partite truccate». Possibili, ma ancora non certe. Si attendono, ora, i verdetti della Fifa, interpellata dal presidente Costa, e della Conmebol per sapere se e quando il campionato possa riprendere e in che condizioni.

Riecheggiano i fatti del novembre 2018 nelle parole di Romero. In quella circostanza la federazione chiese aiuto alla Fifa per sanare una situazione emersa direttamente in campo: Pedro Chàvez, calciatore paraguaiano allora in forza al Guabirá, disse ad un rivale come tutti sapessero che le scommesse erano affare del Real Potosì. Le dichiarazioni fecero il giro di tutto il mondo, finirono anche su «El Paìs»: «[i giocatori] Non vengono pagati da quattro o cinque mesi e rischiano la vita nelle riunioni». Chavez ritrattò, il Potosì non ammise nulla e anzi rigettò le accuse.

¡Vergonzoso!

Già Carlo Emilio Gadda nel “Pasticciaccio” descriveva che una catastrofe non è mai «la conseguenza o l’effetto d’un unico motivo, d’una causa al singolare». La verità è che una catastrofe porta con sé «come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti». Vien da sé, alla luce di quanto letto, che lo scandalo più imponente dell’ultimo decennio che ha investito il calcio boliviano non poteva arrivare in un momento peggiore: il 14 settembre la verde doveva disputare una partita importantissima valida per le Qualificazioni mondiali allo stadio “Siles” di La Paz contro i campioni del mondo dell’Argentina. La partita finisce 0-3 per l’albiceleste (senza Messi) e nemmeno l’altitudine (lo stadio è a 3.600 metri d’altezza) ha giocato a favore della rappresentativa boliviana. Débâcle su tutta la linea. Durissimo il giornale «El diario» il giorno dopo la pesante sconfitta: «la selezione boliviana è la peggiore delle Qualificazioni sudamericane per il Mondiale del 2026. In due partite un solo gol fatto e ben otto subiti. Gli errori dei giocatori durante la partita sono stati una costante di una squadra disordinata, improduttiva e senza la minima attitudine alla motivazione. A tutto questo si aggiunga il poco criterio dell’allenatore che non ha pianificato correttamente la partita». L’ultima volta che la nazionale della Bolivia ha partecipato ad un torneo internazionale è stato nel 1994, da allora sembra non avere fine la lunga notte che tormenta il calcio boliviano.