Kerouac vive, abita in Veneto (e odia Rovigo)

Chi avrebbe mai detto che Paura e delirio a Las Vegas avrebbe potuto avere una sua versione veneta. Intendiamoci, Le città di pianura non gli assomiglia se non per il ricorso all’eccesso e al genere del road movie. Ma il viaggio dei due (splendido, Capovilla), che poi diventano tre, si dipana nel profondo Veneto e, per l’appunto, nelle “città della pianura” e allora il viaggio non è soltanto fisico, da Trebaseleghe a Camposampiero passando per l’immaginaria Cornia, è soprattutto metafisico e introspettivo: Carlobianchi, Doriano e Giulio si inerpicano nell’ardua scalata del superamento di una notte, piena di malinconia, ricordi e di alcol.
Una melancholia che vive fin da subito una biforcazione, poi ricongiunta a fine pellicola: una prima svolta è quella che introduce subito lo spettatore nell’inganno derivato dalla produttività presente nel territorio veneto, dalla vita spesa per il lavoro, in quel Rolex (regalato al pensionando Primo dal padrone che arriva in elicottero), indossato poi ogni giorno, nella vita ormai priva del lavoro, per azionare il pulsante delle videolotterie; la seconda è nella vita stessa dei due protagonisti, ex lavoratori di una grande fabbrica di occhiali della zona, insieme a Primo, che tentano di gabbare la vita del produci-consuma-crepa finendo per vendere in modo illegale e sottobanco degli scarti di produzione.
«Come stavamo bene negli anni ’90, eh», dice Carlobianchi a Doriano mentre sono illuminati dai fari di una vetusta Jaguar S-Type e tentano di riprendersi da una pessima bevuta ai margini di quel che doveva essere un pub/diner filo-statunitense posto a lato di una scarsamente illuminata strada provinciale.
La lunga notte che hanno di fronte Carlobianchi e Doriano, iniziata con una manciata di birre analcoliche e conseguente disprezzo dei due, si dipana in una serie di posti visitati, fiumi di alcol bevuti e culmina con l’incontro del giovane Giulio. La brigata, in qualche recensione fin troppo sbrigativamente sovrapposta a quella di Pinocchio insieme al Gatto e la Volpe, avrebbe dovuto avere Mestre come meta di ritorno ma è il passato che bussa alle porte dei cuori e della testa di Carlobianchi e Doriano. Genio, il loro terzo della combriccola, fuggito in Argentina per evitare una condanna derivata dal giro di rivendita di occhiali, tornando in Italia, ritrova i due esattamente come li aveva lasciati e anche il saluto che riserva loro, nel buio parcheggio all’aperto di un modesto centro commerciale, non tradisce emozioni positive, se non la rassegnazione della vita che è stata vissuta eccessivamente e che ora sta presentando il conto a tutti e tre. Giulio, dopo la batosta amorosa subita, si concede 48 ore senza pensare alle conseguenze delle sue azioni, bevendo qualsiasi cosa gli venga proposta (a qualsiasi ora), fuggendo dalla realtà, lasciandosi alle spalle le conoscenze fugaci dell’Università (anch’esse alcoliche e stupefacenti) e sognando ad occhi aperti, fino al momento in cui risalirà su di un treno regionale che lo riporterà là dove aveva desiderato di andare prima dell’incontro con i due. Forte, però, di una sprezzante e campanilistica consapevolezza imparata in quelle ore in cui si è «troppo vecchi per crescere»: Rovigo non esiste.
Menzione speciale va alla colonna sonora firmata Krano: dall’album «Requiescat in Plavem» sembra non essere passato un giorno e le nuove canzoni (scritte appositamente per il film) si intrecciano benissimo con le meno recenti “Va pian” e “Coparse”.

Shiwan Sadq, è lui il primo calciatore curdo-iracheno in Italia (e in Europa!)

Un pugno di anni fa il nome di Ali Adnan è finito su tutti i giornali sportivi nazionali: “il primo calciatore di nazionalità irachena a vestire la maglia di una società sportiva italiana”.
Udinese, Atalanta, poi i dissidi tra dirigenza bergamasca e manager, dunque l’allontanamento dal calcio italiano.
Dopo una stagione negli USA con la compagine di Vancouver, la sua sfortunata esperienza in Danimarca con il Vejle per cui ha giocato una sola volta prima della rottura di uno dei legamenti del ginocchio, da agosto 2022 è componente effettivo del Rubin Kazan (Serie B russa).

Non Adnan ma Sadq  
Il primo calciatore iracheno, tuttavia, non è stato Ali Adnad ma Shiwan Sadq che nell’ottobre del 1990 era centravanti della Fulgor Salzano nel girone D (veneto-friulano) dell’allora Campionato Interregionale (oggi Serie D). 
Ma Sadq non è stato solo il primo in Italia: è stato il primo calciatore curdo-iracheno in tutto il continente europeo, battendo di qualche anno l’esordio di Karim Bovar al Malmo (1999/2000; Svezia), anch’egli curdo ma con passaporto iracheno
 

Un po’ di contesto: il girone delle due Venezie

Quel girone sopracitato rappresentava (e lo fa tutt’ora) una particolarità doppiamente locale e nazionale: gli anni della riforma della quarta serie, i cui gironi arrivavano fino alla lettera N, ma anche gli anni delle due Venezie.
Dopo il 1987 e la fusione tra la squadra di Venezia e quella di Mestre, c’è un’altra squadra in laguna: è neroverde, partecipa al girone veneto-friulano dell’Interregionale, gioca al Penzo e si chiama Venezia. Sarà, tuttavia una breve stagione, prima che la squadra arancioneroverde recuperi il diritto di utilizzo del Penzo e vinca la battaglia legale nei confronti della dirigenza del Venezia neroverde, il cui presidente era Danilo Maddalena. La retrocessione del Venezia in Eccellenza (stagione ’91/’92) e il conseguente esilio al campo di Murano, ha fatto sì che la storia prendesse la piega della cessazione delle attività della squadra.
Un anno più tardi, dalle ceneri di quell’esperienza, nascerà l’Asd Venexia [1] ripartendo dalla terza categoria. Ma questa è un’altra storia.
E che, ad ogni modo, varrebbe la pena raccontare.

È iracheno, anzi no: curdo

Il passaporto dice iracheno ma in realtà Shiwan Sadq [2] è curdo. L’articolo è a firma di Margherita de Bac per il «Corriere della Sera» [3] del 12 ottobre 1990: 

«Il giorno in cui Saddam Hussein invase il Kuwait, Shiwan Ahmad Sadq sarebbe dovuto essere fra le truppe di prima linea dirette contro Kuwait City. Invece stava giocando su un campo in erba vicino a Venezia e, anziché il ricco emirato, attaccava il portiere di una squadra di calcio dell’Interregionale veneto. Ha ventisette anni ed è il centravanti della Fulgor Salzano, unico giocatore che l’ufficio tesseramenti della nostra federazione registra con nazionalità irachena».

È curdo, in realtà, e questo dato viene subito messo in chiaro da Sadq all’inizio dell’intervista, che prosegue: 

«Una volta, per sbaglio, venni coinvolto nella nazionale universitaria e dal mio nome si accorsero che ero curdo: mi tennero in panchina e non mi fecero allenare. Nonostante questo non ho mollato: noi curdi siamo famosi per avere la testa dura. Sentivo che il calcio sarebbe stato in un modo o nell’altro la mia unica àncora. Ora sono qui, guadagno e ho una vita serena […]. Diventerò architetto ma il mio sogno è fare l’allenatore di calcio». 

Ha anche aggiunto: 

«Spero che Saddam venga ammazzato, così posso fare ritorno a casa».

Scese in campo per sette volte nel girone veneto-friulano dell’Interregionale, tutte senza mai riuscire a segnare un gol. Dopodiché le tracce di Sadq – come si dice proverbialmente – si sono perse [4]: nonostante ricerche, telefonate e interviste a persone che – a vario titolo – orbitavano attorno alla Fulgor (così come ad altre squadre di quel girone che esistono tutt’ora), non sono riuscito a reperire informazioni ulteriori sul calciatore.

La squadra del centravanti curdo-iracheno quell’anno si attestò nella metà bassa della classifica, all’undicesimo posto. 

Note e un’avvertenza


Avvertenza: Nell’articolo del Corriere della Sera il nome del calciatore viene riportato con la dicitura Sadq, sebbene sia facile presupporre si tratti di Sadiq. Non avendo, tuttavia, prove che testimoniano la supposizione, ho deciso di conservare la dicitura così come riportata dalla giornalista del Corriere della Sera

[1] Il piccolo Venexia, nonostante si muovesse nell’alveo del dilettantismo veneto, “infiniti addusse lutti” a Zamparini, come testimoniava il «Corriere della Sera» in un articolo del 1 settembre 1996: 

«Maurizio Zamparini, presidente del Venezia, ha dichiarato guerra alla giunta Cacciari: “Mi fanno la guerra: l’ultimo sgarbo è stata la decisione di concedere lo stadio al Venexia (Prima Categoria). A questo punto, la mia squadra andrà via da Venezia e giocherà altrove. Sono pronto a restituire i soldi agli abbonati e a fare del Venezia un club privato. Alle partite del campionato di B assisteranno soltanto spettatori ad invito”. Destinazioni possibili: Padova o Trieste»

(s.e), Il Venezia fugge. «Si va a Trieste», «Corriere della Sera», 1 settembre 1996.
[2] Utilizzo il presente indicativo perché ad oggi Sadq avrebbe poco più di 50 anni e ci auguriamo non sia deceduto.
[3] Margherita de Bac, Shiwan, l’uomo che in nome del pallone è sfuggito a Saddam, «Corriere della Sera», 12 ottobre 1990.
[4] Prima della Fulgor Salzano vestiva la maglia dell’AC Moncalieri. Vi rimase per cinque anni, quando la squadra della città militava nel girone A dell’Interregionale. Poi il trasferimento in Veneto.