A nessuno importa

Se c’è una cosa che Sostiene Pereira ha insegnato a generazioni di lettori (oltre alla libertà, alla resistenza e alla consapevolezza di sé in un mare di repressione e ostilità) questa è sicuramente l’importanza della scrittura di necrologi anticipati.
Monteiro Rossi, d’altra parte, viene ingaggiato così da Pereira: il giovane aveva pubblicato un saggio sulla morte e il vecchio giornalista ne era rimasto folgorato. Dunque, l’idea: affidare al giovane Monteiro Rossi la scrittura di necrologi anticipati, così che la pagina culturale del Lisboa potesse essere pronta alla giusta commemorazione di questo o quel personaggio illustre.

Il quotidiano l’Unità, rilevato dalla Romeo Editore, diretto da Piero Sansonetti e che porta il nome dello storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci, non deve aver compreso pienamente la lezione riguardo la preparazione dei necrologi esposta da Pereira nel romanzo di Tabucchi.

Il fatto è il seguente.
Il 29 gennaio [2025] è venuto a mancare Fiore de Rienzo, padre di Libero de Rienzo. Il quotidiano diretto da Sansonetti ne dà conto sul suo sito con un pezzo redazionale (anche se probabilmente scritto da uno dei tanti sfruttati del giornalismo italiano). Quasi al termine dell’articolo si legge che Libero De Rienzo in Fortapàsc aveva interpretato «il giornalista ucciso dalla camorra Alessandro Siani».

Questo lo scatto dell’articolo in questione. Fermo immagine del 30.1.25 alle ore 15:49.
 
Potremmo dire che la redazione de l’Unità ha preso un granchio e certamente è così. 
Ma l’articolo è visibile sul sito del quotidiano da più di 24 ore e nessuno ha modificato il nome del comico napoletano con quello di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra. 
Nessuno della redazione ha corretto perché, in fondo, nessuno si preoccupa di informare correttamente, tanto meno di ammettere pubblicamente un proprio grossolano errore.

Un errore così fa male tre volte: all’informazione, la cui cartella clinica parrebbe essere intrisa di valori negativi; alla storia d’Italia, perché confondere un comico regionale con un giornalista ucciso dalla camorra non è solo mancanza di cura e accuratezza per la realizzazione del prodotto giornalistico (il cui risultato si misura in sciatteria) ma anche mancanza di cultura. Infine fa male a l’Unità: perché in questo caso non vale il discorso dell’errore indipendentemente dal nome che porta il giornale: qui il nome ha un suo peso specifico ed errori come questo sono inammissibili. Specie se non corretti.
Ma a nessuno è importato di correggerlo e nessuno si è sentito in dovere di scusarsi per quanto fatto. Come se la notizia in sé fosse una di quelle che si danno per comparire sul flusso cooptato da Google News.
Una di quelle a cui nessuno bada.

Certo, un centro! Forza Italia in permanente gravità

Una proposta concreta sullo ius scholae non è ancora stata messa nero su bianco da Forza Italia. Se ne parla da settimane ma di scritto non c’è ancora nulla. Non ci sono nemmeno state iniziative isolate di deputati o senatori. Ma è proprio sullo ius scholae che il presidente del partito fondato da Silvio Berlusconi sembra aver puntato, provando ad introdurre l’elemento della cittadinanza nella dialettica e nel confronto tra le organizzazioni politiche della maggioranza di centrodestra, nonché nel dibattito pubblico. Antonio Tajani vuole dare una svolta a Forza Italia per dare una nuova identità al partito, pur rimanendo nell’alveo della coalizione di centrodestra.

L’idea “geniale” di Antonio Tajani e della direzione del partito è quella di voler rappresentare il centro politico politico. Non che non ci siano altre organizzazioni politiche che non ci abbiano già pensato o che non ci abbiano provato. Matteo Renzi ha tentato l’operazione Italia Viva (parafrasando la più celebre espressione berlusconiana che ha dato il nome al partito) ma è sembrata arenarsi fin da subito: le elezioni europee non hanno fatto altro che certificare le enormi difficoltà del partito renziano.

In realtà l’amo lanciato da Tajani è verso l’elettorato cattolico di destra così come verso coloro che votano Partito Democratico per mancanza d’alternativa: l’area cattolica interna al Pd potrebbe veder bene un dialogo con una Forza Italia rinnovata nei temi e ripulita dal passato berlusconiano. Areadem sta a guardare. Anche l’ex Beppe Fioroni, uscito tempo fa dal Pd dopo l’arrivo alla segreteria di Elly Schlein, potrebbe essere interessato.

L’asso calato da Tajani è stato lo ius scholae. Al momento – ribadiamo – non c’è nulla di depositato in Parlamento, ma “solo” l’iniziativa (mediatica e personale) del presidente di FI: «Ho dato mandato ai gruppi di fare uno studio sulla questione della cittadinanza e sulle normative e orientare una proposta di legge. E prima di presentarla in Parlamento, presenterò la proposta alla maggioranza, perché un centrodestra moderno deve porsi questo problema». Il Ministro per gli Affari Esteri ha stabilito così nei giorni scorsi la linea del partito durante la manifestazione La Piazza organizzata da Affaritaliani.it.
Apriti cielo, squarciati mare
: la Lega frigge.
Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Senato, ha dichiarato il 30 agosto ad Avvenire: «Salvini è stato molto chiaro: no allo ius scholae».

L’orlo della crisi è sempre vicino, ma la maggioranza è una maionese che non impazzisce mai. C’è un interesse che tiene tutti insieme  il premierato à la Meloni. Quella prospettiva lega e mette tutti d’accordo. Ma la progettualità nel lungo periodo manca. E prima dello ius scholae c’è stato altro.


Un’estate al fresco


Tanto per cominciare, Antonio Tajani ha riallacciato i rapporti con l’area radicale, quella orfana di Marco Pannella che è andata a coagularsi attorno al fu Prntt (Partito radicale nonviolento transnazionale e transpartito), ora semplicemente Partito Radicale. Anche in questo caso la tattica è chiara: i radicali buoni stanno con noi, sembra voler dire l’unione tra Pr e FI, andando così a spezzare ancora una volta l’elettorato diviso fra +Europa/Radicali italiani, Pr e altri soggetti della fu galassia (Nessuno tocchi Caino, Non c’è pace senza giustizia, Certi diritti e via dicendo). La ripresa dei rapporti con Maurizio Turco e Irene Testa (rispettivamente segretario e tesoriere del Pr) ha prodotto prima l’appoggio elettorale dei radicali alle elezioni europee in favore di Antonio Tajani in particolare e di Forza Italia in generale; successivamente una comunione d’intenti riguardante la giustizia e il sistema carcerario. Si tratta dell’iniziativa denominata: «Estate in carcere – Iniziativa di “comune sentire operativo” con il Partito Radicale». Certo, poi la destra compatta (Forza Italia inclusa) alla Camera e al Senato ha votato favorevolmente al Decreto Legge Carcere sicuro. E Atlante ha già mostrato come il nome dato al decreto non sia stato altro che un ossimoro. Ma poco importa. Quel che conta è l’iniziativa del doppio binario: il treno di Forza Italia può permettersi cambi di rotta improvvisi ma non un deragliamento.


«Il governo arriverà fino alle prossime elezioni»


Lo ha ribadito Antonio Tajani ai microfoni di Le 20h de Darius Rochebin. Forza Italia non è uno sparring partner della maggioranza ma un componente essenziale del triumvirato di governo. Se Fratelli d’Italia e la Lega si rincorrono su chi stia collocando più a destra, reagendo nervosamente qualora nasca qualcosa alla loro destra (telefonare generale Vannacci), Forza Italia ha imparato una lezione preziosissima: in fasi di tempesta, meglio rimanere fermi. Ribadendo le posizioni care alla politica della prima repubblica: anticomunismo e antifascismo. Più si sta fermi, più si attrae personale politico (i passaggi dal Movimento 5 Stelle a Forza Italia nell’ultimo anno ne sono una riprova) e allora tanto vale continuare a presentarsi agli elettori come una forza rassicurante e moderata. Liberale, (perché no) democristiana ma sempre rimanendo immobile.

Pubblicato su Atlante Editoriale https://www.atlanteditoriale.com/certo-un-centro-forza-italia-in-permanente-gravita

Ingloriose parabole: ‘il Riformista’ cede la direzione a Matteo Renzi (che non è neanche giornalista)

Nella giornata del 5 aprile [2023] è stato annunciato il passaggio di consegne riguardo la direzione del quotidiano ‘il Riformista’
Il direttore Piero Sansonetti cede il passo (e il posto) a Matteo Renzi, senatore della Repubblica del gruppo Azione-ItaliaViva-RenewEurope, segretario di Italia Viva, conferenziere, già segretario del partito democratico. Direttore sebbene non sia giornalista, requisito fondamentale per essere a capo di una testata, logicamente e normativamente parlando. Rispondendo alle domande della conferenza stampa (in particolare a quella postagli da Daniela Preziosi del ‘Domani’), Renzi ha precisato [1] come non abbia firmato alcun contratto. Il passaggio sembra essere dovuto in quanto Sansonetti sarà alla guida de ‘l’Unità’, acquisita dal medesimo gruppo editoriale che cura la pubblicazione del ‘Riformista’ (Romeo Edizioni) e di prossima pubblicazione. 
Ma andiamo con ordine.

Ottobre 2002. Il governo Berlusconi II è in carica da poco più di un anno e vi rimarrà fino al 2005, quando – rassegnate le dimissioni a causa della sconfitta alle regionali cui seguirono gli “addii” di Alleanza nazionale, Udc e Nuovo Psi – l’ex Cavaliere del lavoro riceverà l’incarico dal Presidente della Repubblica per la formazione del Berlusconi III.

Al Governo c’è Gianfranco Fini in qualità di vice di Berlusconi; ci sono Umberto Bossi e Roberto Calderoli come ministri alle “Riforme istituzionali e alla devoluzione” (quando la Lega era ancora nord); all’istruzione c’è la Moratti, al lavoro Roberto Maroni e alle Politiche agricole e forestali c’è un rampante Gianni Alemanno.
Rifondazione comunista conta 11 deputati e 4 senatori, i Comunisti italiani (Pdci) ne contano 10 a Palazzo Chigi e 2 a Palazzo Madama; la Federazione dei Verdi 8 e 10 [2]. Si parlava di primarie del centrosinistra tra Democratici di Sinistra, Democrazia è Libertà (meglio noto come “La margherita”) e altri soggetti dell’area.

Come nacque
La notte tra il 22 e il 23 ottobre di quell’anno sarebbe andata in stampa la prima copia del quotidiano ‘Il Riformista’ diretto da Antonio Polito, ora editorialista del ‘Corriere della Sera’.

Il 6 ottobre 2022 ‘la Repubblica’ raccontava di una serata mondana nell’isola di Capri in cui si facevano proselitismi e pubbliche relazioni per il futuro quotidiano:

«Claudio Velardi, consigliere di Massimo D’ Alema quando il presidente dei Ds era premier, caprese d’ adozione, passeggiava ieri mattina tra gli industriali nei giardini del Grande Albergo Quisisana. Mentre tutti indossavano l’ abito grigio, Velardi vestiva «casual», con uno zucchetto azzurro sulla testa. “Sono qui – ha spiegato – per fare un po’ di pubblicità al Riformista”, ovvero il quotidiano (uscirà a fine ottobre, direttore Antonio Polito) voluto da Velardi che ha messo insieme un gruppo di imprenditori finanziatori» [3].

Il quotidiano traeva ispirazione dal ‘Foglio’ diretto da Giuliano Ferrara, per ammissione dei suoi stessi fondatori [4]: l’impostazione culturale era intelligibile già dalla denominazione della pubblicazione, cioè a metà tra un riformismo liberale e un liberalismo in senso stretto. La pubblicazione formalmente era legata al mensile ‘Le ragioni del socialismo’ di Emanuele Macaluso fino al 2006 (ma questo lo vedremo più avanti).

Neanche un mese e ‘il Riformista’ è già in festa: 

«Gran festa, ieri sera, a Palazzo Ferraioli (giusto di fronte Palazzo Chigi) con i proprietari e i redattori del quotidiano ‘il Riformista’, nato appena due mesi fa e diretto da Antonio Polito, che hanno voluto porgere gli auguri di Natale a politici e imprenditori, a personaggi del mondo dell’informazione e dello spettacolo. Le signore in bito lungo e un’orchestrina di strada in frac, mentre Gianfranco Vissani, cuoco preferito dall’ex premier Massimo D’Alema (atteso con ansia), annunciando squisite paste e fagioli, ordinava che fossero affettate mortadelle e porchette. Quando sono arrivati i colleghi del ‘Foglio’, il giornale che ha ispirato la fondazione del ‘Riformista’ [5], abbracci e brindisi»[6].

Tra le firme che popolavano l’iniziale avventura di quel quotidiano, oltre a Stefano Cappellini e Roberto Mania, figurava Lucia Annunziata. Col passare degli anni, vicedirettore fu anche Oscar Giannino e tra gli editorialisti comparirà “un certo” Pierre Moscovici [7].

La prima pagina del
primo numero del quotidiano.
Il link da cui è stata tratta è
di un utente che ha messo in
vendita la copia su eBay.

Giornale di nicchia, fu certamente di parte (come già detto) ma di una parte molto trasversale e difficilmente “incasellabile” nei settori del centrodestra berlusconiano o del centrosinistra ulivista. Pendeva, come il treno Roma-Ancona, una volta da un lato, una volta dall’altro, così tanto che Pasquale Laurito, direttore dell’agenzia ‘Velina rossa’, un giorno di novembre di quello stesso anno se la prese con il direttore Polito per delle accuse che il quotidiano da egli diretto aveva rivolto nei confronti di D’Alema [8] per mancato dialogo con la maggioranza di Governo riguardo la giustizia. «Qualche volta può essere anche antiberlusconiano» [9], scriveva Laurito a mo’ di invito nei confronti della direzione del quotidiano.

Polito rimane in carica fino al 2006, quando Giampaolo Angelucci acquista tutte le quote del fondatore Velardi (51% Velardi e 49% gruppo Tosinvest) rilevandone la proprietà. Poi un avvicendarsi di questioni che portano la testata ad essere diretta da Macaluso e a renderla organica all’associazione sopra citata. Nel 2008 Polito torna a dirigere il quotidiano, ma vi rimane poco in carica, giusto il tempo di coinvolgere Diego Bianchi (Zoro) per una rubrica: “La posta di Zoro”. Allora Bianchi era un blogger e cosmonauta di Youtube (memorabili alcune puntate di “Tolleranza Zoro”):

«Con la posta di Zoro, comincia da oggi [20 giugno 2008] la sua collaborazione con ‘il Riformista’ Diego Bianchi, uno dei più seguiti blogger italiani. Come è finito a scrivere sul ‘Riformista’, lo racconta nel suo primo articolo, oggi in prima pagina. “Una sera mi sono ritrovato in uno studio tv con Polito. Gli ho detto che, secondo me, la gente non capisce cosa significhi la parola ‘riformista’ e che forse anche per questo ‘Il Riformista’ vende poche copie. Dopo la trasmissione mi hanno offerto una rubrica”» [10]

È il 2011: il quotidiano vende sempre meno. L’anno successivo interrompe le pubblicazioni.

L’era Sansonetti

«Il presidente della Finanziaria Tosinvest, Giampaolo Angelucci, ha reso noto in un comunicato “l’avvenuta cessione della testata Il Riformista da parte della TMS edizioni S.r.l. (società controllata da Tosinvest). La famiglia Angelucci, nella proprietà della testata dal 2003, augura ai nuovi editori i migliori successi”. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera la testata, ideata nel 2002 da Claudio Velardi e chiusa nel 2012, è stata acquistata dall’imprenditore Alfredo Romeo, a dirigerla andrà Piero Sansonetti, il 20 luglio sarà online e da settembre in edicola» [11].

L’era Sansonetti del quotidiano, che fu diretto da Polito, può (ri)partire. Archiviata la stagione di ‘Liberazione’ (il fu organo di stampa di Rifondazione comunista) e le esperienze di: ‘L’altro’, ‘Gli altri’, ‘il Dubbio’, ‘l’Ora della Calabria’ e ‘Cronache del Garantista’, il nuovo direttore esordisce con una conferenza stampa in cui annuncia la presenza di grandi nomi che lo avrebbero coadiuvato nella vita della testata: Fausto Bertinotti e Roberto Brunetta. Nessuna meraviglia per l’accostamento che un tempo avrebbe potuto essere ossimorico: l’ex segretario di Rifondazione ora è di casa al Meeting di Rimini.

«Il Riformista guarda a un’area di centrosinistra e riformista, appunto, che non vuole essere dominata dalla paura, dall’astio verso gli altri, dalla vergogna della ricchezza» [12], sanciva Sansonetti nel corso della conferenza stampa di presentazione del quotidiano.

Dal ‘Corriere della Sera’ dell’ottobre 2019: 

«Martedì 29 ottobre torna in edicola (e online) il quotidiano il Riformista che negli anni ha fatto parlare di sé sotto le direzioni autorevoli di Antonio Polito, Paolo Franchi, Stefano Cingolani, Stefano Cappellini ed Emanuele Macaluso e che rinasce per iniziativa dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo» [13]. 

Rimane, ad ogni modo, il disegno dell’uomo col cannocchiale nella testata, simbolo del quotidiano.
L’attuale testata del quotidiano

«Indicativa la lista delle firme coinvolte: Tiziana Maiolo, Fabrizio Cicchitto, Stefano Ceccanti, Maria Elena Boschi, Luigi Marattin» [14], condirettrice Deborah Bergamini, parlamentare in quota Forza Italia.

Cose in grande
Un anno dopo il ritorno in edicola del foglio bicolore arancio-nero, viene realizzata un’edizione del lunedì totalmente dedicata all’economia il cui direttore è Renato Brunetta e nella direzione scientifica popolano nomi come Sabino Cassese, Pier Carlo Padoan, Giovanni Tria e Marco Bentivogli [15].

«Il primo numero avrà 12 pagine e affronterà il tema delle riforme. Di quelle che non vengono fatte e di quelle che vanno fatte. Del prezzo che hanno le mancate riforme. Delle condizioni politiche che servono per realizzarle. Ci saranno articoli di intellettuali, giuristi, politici, economisti di diverse opinioni politiche […] diretto da Renato Brunetta nel primo numero scrive una lettera aperta al premier Giuseppe Conte, al quale offre collaborazione e suggerisce di non “ballare da solo”» [16].

Presentazione del ‘Riformista’ del lunedì dedicato all’economia

Passa solo un mese e Brunetta lascia.

«Quando quattro mesi fa l’editore Romeo, che ringrazio, e i direttori Sansonetti e Bergamini mi hanno chiamato per propormi questa sfida, ho detto subito di sì. Ci abbiamo lavorato tutti insieme e abbiamo messo in piedi un piccolo gioiello. Finora sono usciti quattro numeri, che sono costati tanta fatica, e tanta intelligenza. Ho scoperto, però, che questo tipo di attività, già dal mese di giugno per preparare i numeri zero, ha assorbito tutto il mio tempo disponibile, togliendomene anche all’attività politico-parlamentare. Questo non è giusto. Io ho un impegno con i miei elettori, che devo rappresentare al meglio, con tutte le mie energie, fino alla fine del mandato. Pensavo che le due attività fossero compatibili e complementari, mi sono reso conto che questo non è possibile» [17].

Due anni dopo andrà via anche da Forza Italia dopo esserne stato figura di spicco e dirigente del partito, nonché più volte ministro.

Matteo Renzi direttore (anche se non è giornalista)
Nella giornata del 5 aprile viene ufficializzato il passaggio nella direzione del ‘Riformista’ in una conferenza stampa alla presenza dell’attuale direttore Piero Sansonetti, di quello futuro (nonché senatore della Repubblica e conferenziere in giro per il mondo) Matteo Renzi, dell’editore Alfredo Romeo [18].
Secondo Sansonetti: «Romeo ha deciso di diventare l’editore dei giornali di sinistra e del centrosinistra con ‘L’Unità’ e ‘Il Riformista’. L’idea di Renzi è stata geniale» [19], ha dichiarato nel corso della conferenza stampa tenutasi presso la Sala Stampa Estera.
Chi pensava a un imminente addio alla politica, come aveva affermato Renzi stesso all’indomani dalla sconfitta del referendum quando era Primo Ministro, ha evidentemente frainteso il messaggio.

Mikebongiornianamente Renzi non lascia: raddoppia e assume una carica che, vien da pensare, sarà ritagliata precisamente per lui, non essendo iscritto all’Ordine dei giornalisti ma essendo stato appena designato come tale.

Apprezzamenti giungono anche dal fondatore del “primo” ‘Riformista’ Claudio Velardi:

«Geniale l’idea di fare Matteo Renzi direttore de Il Riformista, quotidiano che fondai nel 2002. Il politico più intelligente e dinamico d’Italia, al momento senza un ruolo, avrà una tribuna quotidiana per dire la sua e incidere nel dibattito pubblico. Ci sarà da divertirsi!» [20].

Si parlerà di tutto perché sarà un “quotidiano riformista nel vero senso della parola” ma non dei processi del futuro direttore:

«Saremo più moderati, non faremo ‘titoli sobri’ come Sansonetti… L’attenzione che il ‘Riformista’ darà al mio processo, Open, sarà molto scarsa. Non so se saremo all’altezza del ‘Riformista’ di Sansonetti nell’affermazione della cultura garantista».

La parabola del ‘Riformista’ parrebbe rientrare pienamente in una di quelle che si studiavano sui banchi di scuola: discendenti. In questo caso anche piuttosto ingloriose. Così come quella di un quotidiano diretto da un non-direttore. Perfetto per una non-informazione

 

Note:

1 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».
2 Verdi e Pdci si presentarono nelle liste dell’Ulivo in tutti i collegi del Senato della Repubblica. Alla Camera, invece, il Pdci si sfilò dalla lista comune Verdi e Socialisti democratici italiani “Il Girasole” e corse in alleanza del centrosinistra ma fuori dalla “bicicletta” tra ‘sole-che-ride’ e Sdi.
3 Ottavio Ragione, E Velardi fa pubbliche relazioni, 6 ottobre 2002, «la Repubblica».
4 Macaluso fu poi articolista di spicco del quotidiano diretto da Ferrara.
5 Curiosità: sul sito web, archiviato dal repository “Web archive”, la testata è denominata “Il nuovo Riformista”, sebbene venga citato – ed è stato registrato – con il nome “Il Riformista”.
6 Redazione, Il Riformista in festa, brindisi con i «rivali» del Foglio, 19 dicembre 2002, «Corriere della Sera».
7 Ministro dell’economia e delle finanze in Francia dal 2012 al 2014, responsabile della campagna elettorale di François Hollande (Parti Socialiste). Nel 2014 viene indicato come Commissario europeo per gli affari economici e monetari della Commissione Europea retta da Jean-Claude Juncker.
8 Interessante, a tal proposito, il retroscena di Maria Teresa Meli del 27 aprile 2008. Recita lo strillo in prima pagina: «Walter, il Riformista e le manovre nel Pd»: «Smussare gli angoli, minimizzare, addirittura far finta di niente. Finora di fronte a una critica rivoltagli tra le pareti domestiche del centrosinistra, Walter Veltroni ha sempre seguito questa linea di condotta. Ma ieri sull’Unità ha attaccato il Riformista, quotidiano in odor di dalemismo».
9 Redazione, Velina rossa e il Riformista «duello» su D’Alema, 22 novembre 2002, «Corriere della Sera».
10 Il blog di Zoro diegobianchi.com purtroppo non è più visibile, tuttavia sul repository “Web archive” sono contenuti vari fotogrammi e articoli (tra cui molti della rubrica sul Riformista) da egli scritti.
11 Redazione, Tosinvest cede il Riformista, 9 luglio 2019, «Prima Comunicazione online».
12 Redazione, Torna “Il Riformista”. Lo dirigerà Piero Sansonetti, 5 luglio 2019, «Huffington Post».
13 Dino Martirano, Torna in edicola Il Riformista, Bertinotti e Boschi tra le firme, 24 ottobre 2019, «Corriere della Sera».
14 Dino Martirano, Torna in edicola Il Riformista, Bertinotti e Boschi tra le firme, 24 ottobre 2019, «Corriere della Sera».
15 Riccardo Amati, Dal 21 settembre in edicola ogni lunedì Il Riformista Economia, 10settembre 2020, «il Riformista».
16 Redazione, Arriva Il Riformista Economia, da oggi in edicola, 19 settembre 2020, «il Riformista».
17 Renato Brunetta, Perché lascio la direzione del Riformista Economia, 13 ottobre 2020, «il Riformista».
18 «Il Riformista invece tornerà alla sua vocazione originale liberal-democratica, garantista e pluralista», ha dichiarato Alfredo Romeo nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo direttore Matteo Renzi il 5 aprile 2023.
19 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».
20 Redazione, Matteo Renzi è il nuovo direttore del Riformista, la presentazione, 5 aprile 2023, «il Riformista».

Tutte le foto inserite nello scritto sono di proprietà del sito del quotidiano ‘il Riformista’ e da lì sono state tratte (a cui si viene rimandati se vi si clicca).

Né Schlein, né Meloni: prima di loro Aglietta (Partito radicale), D’Angeli (Sinistra Critica) ma anche Grazia Francescato (Verdi)

Tra la Presidente del Consiglio dei Ministri e la nuova segretaria del Partito democratico c’è un abisso. Anzi, tre. Si chiamano Adelaide Aglietta, Flavia d’Angeli e Grazia Francescato.

« La sua carriera è stata rapidissima. È entrata nel Movimento per la liberazione della donna (Mld), è diventata segretaria regionale del Piemonte e da settembre è la vicesegretaria del partito. Alle elezioni del 20 giugno è stata la prima non eletta dei candidati radicali». 

Non è il 2023 ma è il 1976: un’altra Italia, un altro contesto politico internazionale e, con tutta evidenza, un’altra morale collettiva. 

Il «Corriere della Sera» di quel giorno, venerdì 5 novembre 1976, pone l’articolo (con foto) al centro di pagina 11: «Adelaide Aglietta è la prima donna segretaria di un partito».

L’articolo è stato scritto da Giovanni Russo e si legge ancora: 

«Prima di diventare radicale aveva sempre votato per il Partito socialista italiano (Psi), ma sempre meno convinta. Durante la battaglia per il referendum, si è avvicinata al partito radicale compiendo non solo una scelta politica ma ache una scelta di vita. Dice: “C’è stata così anche una mia crescita personale”». 

La conferenza stampa di presentazione quel giorno avvenne alla presenza di un contestato ma sempre leader del partito Marco Pannella e del vice segretario Gianfranco Spadaccia che Walter Tobagi avrebbe descritto come “il solito” al congresso dell’anno successivo in merito a una vicenda legata al finanziamento pubblico del gruppo parlamentare (ma non del Partito).

Tornando ai nostri giorni: dalla vittoria alle politiche di Meloni, alla scalata di Schlein, i quotidiani si sono sperticati in lodi tanto nei confronti dell’una quanto dell’altra esponente politica: la prima donna Presidente del consiglio dei ministri e leader di un’organizzazione politica e la prima donna segretaria di un partito di sinistra. 

Come detto prima, dunque, vale la pena ricordare che la primissima segretaria di partito si chiamava Adelaide Aglietta: nel 1976 successe a Gianfranco Spadaccia nella direzione del Partito radicale. All’età di 36 anni e con due figli (guai se allora le si fosse dato della “giovane ragazza” come più volte attribuito a Schlein nel corso dei notiziari televisivi e radiofonici) aveva ricevuto l’onore e l’onere di dirigere il Pr di Marco Pannella: «eletta all’unanimità meno un voto», riporta il pomeridiano «Corriere dell’informazione» del 4 novembre di quell’anno.

E ancora: nel 2008 è il momento di Flavia d’Angeli: portavoce di Sinistra Critica, organizzazione della sinistra trotskysta in vita fino al 2013 e tra le più attive della stagione della balcanizzazione della Rifondazione comunista post bertinottiana [1].
I grandi media avevano già preso ad ignorare le posizioni politiche non-mainstream, dunque di Flavia d’Angeli ci sono solamente dei “francobolli” apparsi su quotidiani nazionali, come quello apparso su «Repubblica» all’indomani delle elezioni del 2008 (quelle della “Sinistra Arcobaleno”): 

«Flavia D’ Angeli candidata premier, Franco Turigliatto capolista al Senato in tutte le regioni. Sinistra Critica, il movimento politico trotzkista, ha deciso di indicare una donna per Palazzo Chigi. La D’Angeli ha 34 anni, è laureata in lettere ed è stata impegnata nei movimenti studenteschi e in quelli anti-globalizzazione. Ha ricoperto l’ incarico di coordinatrice dei giovani di Rifondazione comunista a Genova nel 2001 e al Forum sociale di Firenze nel 2002. Dopo l’uscita di Sinistra critica da Rifondazione si è licenziata dal partito e ora è insegnante precaria di materie umanistiche».

Ancora una
C’è spazio per un’altra donna ancora: si tratta di Grazia Francescato. Eletta portavoce della Federazione dei Verdi durante la fase di transizione del partito, diviso tra il cammino in autonomia e il percorso con Sinistra ecologia libertà [un po’ di articoli su quegli anni, dal 2009 al 2011 e sulle conseguenze che ha avuto in quell’area li trovate qui: https://sostienepiccinelli.blogspot.com/search?q=Sinistra+ecologia+libert%C3%A0].

«Con trecento voti su 507 delegati, Grazia Francescato è stata eletta
nuovo presidente dei Verdi. Prende il posto, dopo un regno durato sette
anni, di Alfonso Pecoraro Scanio che si era dimesso dopo il disastro del
voto di aprile [Sinistra arcobaleno]. La votazione a scrutinio segreto ha chiuso nei fatti un
congresso pieno di tensioni, attese e che doveva regolare conti in
sospeso». 

È quanto raccontava Claudia Fusani su «Repubblica» il 19 luglio 2008, in cui la giornalista (ora al «Riformista») dava conto dei rispettivi congressi del Partito dei comunisti italiani (Pdci) e della formazione ecologista, uscite con le ossa rotte dopo le politiche di quell’anno. 

Curioso il dato che viene citato da Fusani nell’articolo:

«Nella sua mozione raccoglie l’anima più radicale del partito, da Paolo
Cento a Loredana de Petris, da Gianfranco Bettin a Angelo Bonelli
(molto fischiato). Quello di Francescato è un mandato di continuità
con la vecchia presidenza e anche un mandato ponte, fino alle Europee.
Per vedere cosa succede a sinistra dopo le macerie del voto di aprile». 

[1] La conferenza nazionale del 2013 si divise in due documenti contrapposti con pari sostenitori e si decise per lo scioglimento. Ne nacquero due organizzazioni: Solidarietà Internazionalista (gruppo d’Angeli) e Sinistra Anticapitalista (Gruppo Turigliatto), il secondo è tutt’ora attivo e ha fatto campagna elettorale per Unione popolare alle elezioni politiche del 2022.

Roma segna il passo: la soluzione per la sinistra è il centro sinistra (e non è una battuta triste, purtroppo).

Il giorno dopo le elezioni, specie a sinistra, si inizia a tirare le somme delle esperienze fallimentari che hanno portato questo o quel rassamblement alla sconfitta elettorale: da circa una ventina d’anni si procede in questo modo. Nel momento in cui, però, ogni organizzazione politica diventa residuale e non è più in grado né di parlare ad una propria comunità di riferimento, né all’esterno, nascono delle creature ibride e indefinite che hanno come intento (dichiarato) quello di ricostruire un patrimonio umano, politico e sociale che sentono slabbrarsi, mentre quello reale è solo il traghettare del (anche poco) consenso verso un altro progetto politico più grande che niente ha a che vedere con quell’intento sopra espresso. Associazioni, movimenti, comitati, questi gli ibridi che nascono: non sempre sono strutture definite e hanno confini impalpabili. La generazione dei trentenni, che si avvia ormai ad essere dei quarantenni, non ha avuto la gloria che sperava nell’opportunismo politico messo in atto in questi anni: le esperienze di Sel, Tlit!, Act!, L’Altra Europa con Tsipras, la neonata Futura,  insegnano. Ecco perché, quegli stessi dirigenti ed esponenti delle fu organizzazioni sopra citate, danno vita ad ulteriori contenitori per poter rilanciare un “rivoluzionario progetto” che certamente sarà compreso da ogni elettore: il centrosinistra. E non è una battuta.
Questa è la ricetta magica del cosiddetto movimentismo all’italiana o di chi ha “compreso” la residualità della sinistra in Italia. Si giustifica tutto questo affermando frasi senza senso come «si deve entrare nel partito x/y [che in questo caso è il PD] per spostarlo a sinistra», oppure, la più bella «io mi candido nel PD ma è una scelta personale, per dare uno scossone: pensa quando entrerò nelle istituzioni, avranno una spina nel fianco». O, ancora, le sempreverdi dichiarazioni di Vendola riguardo la collocazione che, secondo lui, avrebbe dovuto avere la sinistra italiana al Parlamento Europeo: «non con Tsipras ma neanche contro Shultz», un capolavoro.
Di solito, in ogni caso, il fianco “spinato” è lo stesso di chi ha pronunciato la frase, anziché quello evocato: nel giro di poche settimane il tale si renderà conto dell’impossibilità di compiere quel che diceva di fare ma continuerà opportunisticamente a sfruttare il refrain.
Entrare in un’organizzazione, carprirne le contraddizioni, aprirle e porsi alla testa del dibattito che porterà al cambiamento della stessa è la massima aspirazione di un comunista. Solo che il termine di paragone, per questa sempregiovane leva di dirigenti (nazionali e locali), è il Partito Democratico, come prima detto.
Nel corso delle elezioni primarie per i municipi VIII e III di Roma, infatti, la nuova strategia politica dell’opportunismo romano, anticamera di quello nazionale, è stata doppia: entrare a far parte in prima persona delle primarie con propri candidati (nell’VIII), sostenere ex assessori della giunta Marino (Caudo). Il fine: rilanciare esplicitamente il centrosinistra. Una ricetta nuovissima e approvata più volte dall’elettorato, come è noto a tutti!
La teoria dell’agire locale di movimenti, centri sociali e affini sembra essere davvero sfuggita di mano: si vorrebbero convincere lavoratori, pensionati, disoccupati, studenti a votare le organizzazioni che più hanno distrutto lo stato sociale, il lavoro, la scuola, le pensioni solo perché c’è una bella faccia diversa come candidato. La soluzione, insomma, non è quella di creare un blocco sociale, dar vita ad un progetto alternativo o contribuire a dar forza ad altre organizzazioni d’alternativa che si sono messe in cammino recentemente o da tempo o chessò io, nient’affatto: la soluzione è l’alleanza col Pd. Ci vuole veramente una faccia di bronzo colossale. 

Prima come tragedia, poi come farsa

Dal 2006 al 2017 ci passa poco tempo, 11 anni. In termini politici in realtà è un’era geologica. Nel primo pomeriggio di oggi, il Partito Socialista italiano, via post su Facebook, pubblica il nuovo simbolo della lista comune fra Area Civica (una mascherata per nascondere Centro Democratico, partito di Bruno Tabacci che prese lo 0,5% nel 2013 ma che riuscì ad eleggere dei deputati a causa della legge elettorale) e la Federazione dei Verdi.
Alla domanda: «cosa potrebbe fare Renzi per ostentare lo scalpo del centrosinistra da consegnare ai giornalisti?», la risposta è stata quella fornita da un grafico un po’ maldestro il quale ha messo insieme il simbolo dell’Ulivo con tanto di ramoscello, un blu oltremare che fa sempre pro-Europa e un puntino rosso sopra la “i” che fa sinistra. Come il salmone il 24 dicembre: fa Natale.

Anche se, subito, mi è tornato alla mente quest’altro simbolo: la lista unica di Consumatori uniti, Pdci e Verdi. Un’era politica fa: lista “Con l’Unione” del 2006, presentata al Senato.

Una vasta gamma di posizioni sbagliate giustificate malissimo dai sostenitori delle due liste, col solo obiettivo del Parlamento. Col risultato che il secondo simbolo, quello con Psi/Verdi/AreaCivica è decisamente più farsesco del già ilare precursore Pdci/Verdi/Consumatori. È il caso di dire che la storia prima si manifesta come tragedia e infine come farsa: solo che in questo caso si hanno due farse che si contrappongono. 

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