Cosa sta succedendo (e cosa succederà) in Bolivia

«L’unico soggetto che può rovesciare il governo è il popolo: la democrazia boliviana può difenderla solo il popolo boliviano», è stato Luis Arce (presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia) a dirlo, a scandirlo nel microfono e nel megafono che gli veniva posto davanti alle labbra, insieme al suo vice David Choquehuanca, dal balcone del Palazzo del Governo (Palacio Quemado) in Piazza Murillo, nel pieno centro di La Paz.

Sono le 17:30 di mercoledì 26 giugno [2024] e il tentato golpe promosso dall’ormai ex capo delle forze armate boliviane Juan José Zúñiga è durato solo tre ore e parrebbe essere già terminato. Zúñiga è stato destituito e il presidente Arce ha nominato un nuovo comandante dell’esercito (il quale ha provveduto immediatamente a liberare la Piazza e a ritirare le truppe), azzerando anche le cariche dei graduati che hanno prestato il fianco all’operazione.

Attorno alle 14:30, la città di La Paz, la Bolivia intera, ha dovuto fronteggiare una situazione che per la storia del paese non è affatto nuova, ma certamente è stata inaspettata in questa circostanza, nonché per Arce e il suo vice Choquehuanca.
Blindati e componenti dell’esercito hanno bloccato i quattro lati di Piazza Murillo e un automezzo armato di mitragliatrice è riuscito ad arrivare a un passo dalla porta d’entrata di Palacio Quemado: dentro probabilmente, come hanno riferito fonti della stampa locale e dell’America Latina, c’erano i due ex, gli unici arrestati al termine della giornata. Ovvero: Juan José Zúñiga e il vice ammiraglio Juan Arnez Salvador.

Aparece un video del tenso encuentro de Luis Arce con los militares golpistas en el Palacio Quemado, Bolivia. pic.twitter.com/U9kGIW1apg

— Sepa Más (@Sepa_mass) June 27, 2024

Zúñiga, per la verità, non parrebbe aver agito senza sapere quel che stava facendo: nei giorni scorsi antecedenti al tentativo di golpe era stato raggiunto dai microfoni della trasmissione No mentiras e, intervistato dalla popolare giornalista Jimena Antelo, rispondeva così: «Gli altri comandanti non erano come me: io non ho paura. Sono un militare e un militare giura sulla Costituzione per difendere la sua patria e il suo popolo». Secondo l’ex capo dell’esercito, lo Stato non era più in grado di mantenere la legalità attraverso la Costituzione, anche a causa del fatto che si stia tacitamente permettendo che l’ex presidente Evo Morales potesse ancora proporsi per un nuovo mandato alle prossime presidenziali: «Quell’uomo – ha dichiarato l’ex graduato a No mentirasnon può più essere Presidente di questo Paese […]. Legalmente non può farlo. La Costituzione dice che non può essere (Presidente) per più di due mandati ed è già stato rieletto tre, quattro volte. Le Forze Armate hanno la missione di far rispettare la Costituzione Politica dello Stato». Una tensione vibrante che a La Paz e Sucre (le due capitali) si respirava già da giorni, evidentemente.

Mentre il tentativo di golpe era in atto, Zúñiga ha continuato a rilasciare interviste alla stampa, in particolare una dichiarazione, ripresa anche da Correo del Sur farebbe riflettere sul senso dell’operazione e darebbe una chiave di lettura dell’azione: «La prenderemo [la Casa Grande del Pueblo]: ripristineremo la democrazia, libereremo i nostri prigionieri politici».
Così come al termine del tentato golpe, e prima di essere portato via dalla forza pubblica, stando al Correo del Sur, Zúñiga avrebbe affermato che la movimentazione di soldati e mezzi blindati sarebbe stata concordata col presidente Arce al fine di aumentarne la popolarità. Affermazioni di cui risponderà l’ex capo militare all’interrogatorio a cui verrà sottoposto.

Il partito di governo, il Mas (Movimento al socialismo), sembrerebbe essere il grande nemico dell’ex capo dell’esercito Zúñiga, sebbene la sua azione si fosse rivolta verso Evo Morales (ne aveva annunciato l’arresto in diretta tv), l’intenzione si rivolgerebbe effettivamente allo Stato a guida del partito di cui fanno parte anche Arce e Choquehuanca.

«Abbiamo vissuto, quel che si direbbe, “un giorno anomalo”», ha raccontato all’AtlanteDon Riccardo Giavarini, direttore generale della Fundaciòn Munacim Kullakita di El Alto. «Ora si sta vivendo una relativa calma a La Paz: Arce ha pronunciato un discorso volto a rassicurare la popolazione, ha detto che la situazione è rientrata ed è tornata sotto controllo. Certo, di argomenti per contestare il governo ce ne sono, a partire dallagiustizia, se vogliamo fare un solo esempio dato che è uno dei miei campi».
La gente, però, ha risposto: «È scesa in strada sostenendo la democrazia e rigettando il tentato golpe dei militari – ha detto Giavarini – quindi effettivamente la situazione è tornata alla normalità».

Al momento pare di capire che in Bolivia ci sia più una sensazione di stasi, dunque bisognerà capire quale sarà la normalità a cui giungerà il paese.

«No hay plata!»

La situazione in Bolivia non è propriamente rosea. David Choquehuanca, vicepresidente dello stato Plurinazionale, in più di un’occasione nel corso del suo mandato ha ripetuto – pur senza fare nomi esplicitamente – che alcuni esponenti politici avrebbero rifiutato di approvare i crediti di cui vanta lo Stato. Sulle reti sociali dell’America Latina è diventato virale il primo video in cui Choquehuanca, durante un’iniziativa del suo partito, si è lasciato andare ad un commento quasi liberatorio, tanto era il peso specifico di quelle parole: «Stiamo in una situazione difficile: non ci sono soldi! (no hay plata!)». Un’eco di quella stessa espressione pronunciata durante il primo discorso da presidente dell’Argentina di Javier Milei: «No hay plata», scandendo ogni singola parola.

Difficile, ad ogni modo, dare torto a Choquehuanca, al netto dei soldi che devono tornare allo Stato e che non starebbero prendendo la via di Palacio Quemado: 1 boliviano attualmente vale 0,13 centesimi di Euro, viceversa per un Euro ci vogliono 7 bolivianos e 70 centavos. Lo stipendio medio di un meccanico si aggira attorno ai 500 bolivianos, poco più di 60€. Da mesi perdura, poi, una situazione di instabilità legata alle riserve di carburante e l’evento di ieri ha scatenato una ancor maggiore irrazionalità da parte dei consumatori e dei trasportatori, tanto che l’Agenzia nazionale idrocarburi (Anh) ha dovuto emettere un comunicato in cui si invita alla calma e assicura come la «fornitura di combustibili» sia «garantita in tutto il paese». Si può ancora comprare carburante, dice l’autorità, ed è anche garantita la vendita ma le lunghe code di camion al confine con l’Argentina che durano da settimane suggerirebbero l’esatto contrario. Eppure, nonostante la situazione di crisi politica e di difficoltà economica, la Bolivia continua ad essere vista come meta d’emigrazione per persone provenienti da Haiti e dal Venezuela.

 

 
L’eredità di Evo: i «due Mas»

Ma perché Zúñiga ce l’aveva con Morales, al punto di dichiarare di volerlo arrestare, per la faccenda della candidatura alle presidenziali?
Tutto è cominciato più di un anno fa, quando l’ex presidente boliviano Evo Morales ha annunciato di volersi candidare nuovamente alle presidenziali del 2025.
Una data cruciale per la Bolivia: è l’anno in cui si celebra il Bicentenario.
Ad ottobre dello scorso anno [2023], Evo Morales ha tentato il colpo di mano sul Mas, di cui è tutt’ora Presidente (la carica giuridicamente più importante) convocandone la parte del partito a lui fedele in un congresso-farsa nel dipartimento di Cochabamba, nella cittadina di Lauca Ñ e da lì è cominciata a venir giù la metaforica e proverbiale slavina. Il partito si è spaccato ed ora esistono due parti del Mas (una evista e l’altra arcista) che sono letteralmente l’una contro l’altra.
Si aggiunga la questione della cosiddetta auto-proroga dei giudici: il Presidente Arce sostiene la proroga dei giudici di quella che in Italia chiameremmo Corte Costituzionale e che invaliderebbe la candidatura di Morales alle presidenziali. Non essendosi ancora tenuta la votazione popolare che sostituisca i membri decaduti a dicembre 2023, il Governo li ha prorogati de facto.
Evo ha mostrato i muscoli e ha proceduto con i suoi mezzi: blocchi stradali in tutto il paese. Dal 22 gennaio a metà febbraio i sostenitori di Morales (che guida la sua corrente dal fortino di Cochabamba) hanno paralizzato le principali strade e autostrade del paese, in particolare l’arteria Oruro-La Paz, attuando blocchi stradali, interrompendo commerci, trasporti pubblici e privati. Secondo Gary Rodriguez, portavoce dell’Ibce (l’Istituto boliviano per il commercio estero), in quei giorni «l’economia boliviana ha perso circa 75 milioni di dollari al giorno». Ma la faccenda non si è conclusa neanche in quel caso.
Se Morales ha convocato il congresso ad ottobre [2023], riconvocandone poi un secondo nel marzo di quest’anno (chiamato ampliado), Arce ha risposto chiamando l’assemblea congressuale a El Alto nel mese di maggio. Per l’amministrazione e la burocrazia boliviana, però, nessuna delle convocazioni è giuridicamente valida: nessuna delle assemblee è stata riconosciuta come propria del Mas così come nessuna ha avuto il placet per la registrazione del nuovo statuto che entrambe le parti hanno riscritto in separata sede.
Nel corso di questo braccio di ferro politico si è inserita la divisione all’interno di ogni singola organizzazione sindacale, sociale e interculturale che orbita attorno al Mas tanto che il 2 marzo il grande incontro (in aymara: Jach’a Tantachawi) tenutosi a Oruro e promosso dal Conamaq (il consiglio nazionale delle popolazioni indigene del Qullasuyo) è terminato a pugni e sediate, con tanto di intervento della forza pubblica. E sì che l’organizzazione doveva scegliere un nuovo rappresentante tra due entrambi del Mas (uno arcista l’altro evista).
I rapporti tra le due ali del Mas sono andati deteriorandosi sempre di più quando ad inizio giugno [2024] il presidente del Senato Andronico (Mas, vicino a Morales), in sostituzione al presidente assente e al vice Choquehuanca in missione all’estero, ha fatto in modo di far approvare la destituzione dei componenti del tribunale che invaliderebbero la candidatura di Evo nel corso di una seduta parlamentare. Le elezioni popolari non sono state, tuttavia, ancora indette e la proroga dei giudici continua ad esserci de facto. L’azione di Andronico non ha fatto altro che inasprire ancora di più le parti in lotta nel Mas e nella società boliviana.

 

 
«Autogolpe!» 
Eppure, dopo tutto quello che è successo, le organizzazioni di Cochabamba vicine alla Seis federaciones e fedeli a Morales, hanno serenamente parlato di autogolpe. L’esecutivo della Seis ha parlato esplicitamente di «pagliacciata». Elena Almendras, dirigente della Federazione delle Comunità Interculturali di Chimoré (Cochabamba), ha dichiarato che il tentativo di golpe è stato uno «spettacolo mediatico preparato mesi fa dal Governo» con l’obiettivo di aumentarne la popolarità.
La stessa Almendras, insieme alle organizzazioni sociali del Tropico, ha aggiunto: «poiché l’“autogolpe” non è andato come previsto, cercheranno di arrestare l’ex presidente Evo Morales».
Ancora una volta le realtà sociali, civili e associative vicine all’ex leader del Mas ingaggiano lo scontro frontale con l’altra fazione del partito, citando anche (e soprattutto, verrebbe da dire) la questione del golpe che sarebbe stato programmato. Tesi confermata anche nel corso della conferenza stampa del dipartimento di La Paz del Mas (evista): «Il Presidente e il suo Vice stanno generando paura nel popolo boliviano. Quello che è accaduto ieri [26 giugno] è stato chiaramente pianificato dalgoverno: un autogolpe».
Non si arriverà all’arresto di Morales, come ha dichiarato Almendras, ma certamente l’eredità di Evo è pesante, tanto quanto quel blindato che è andato a “bussare la porta” di Palacio Quemado. Un peso specifico, quello di Morales, con cui non solo il Mas, ma anche la società boliviana tutta dovrà fare i conti. E se una gran folla di gente è scesa in piazza sostenendo la democrazia e il presidente Arce nel momento di maggior tensione nel pomeriggio di ieri, è altrettanto vero che attorno ad esse si stava iniziando a radunare una piccola (ma rumorosa) folla di evisti in cui veniva scandito: «Esto no fue golpe, esto fue teatro [non è stato un golpe, è stato un teatro]».
La società boliviana si è atomizzata ed è stata polverizzata a tal punto che è impensabile che le due parti in lotta all’interno del Mas possano siglare un accordo di tregua.
Certo è che oggi si è giunti ad un punto da cui difficilmente si riuscirà a tornare indietro serenamente.

Sedie, cazzotti e congressi farsa. Evo Morales si gioca il tutto per tutto.

Volano cazzotti e sedie. Il raduno annuale del Conamaq (il consiglio
nazionale delle popolazioni indigene del Qullasuyo)1,
ovvero il Jach’a Tantachawi (letteralmente grande incontro), che si è tenuto il 2 marzo [2024] nella città di Oruro è finito in
mega rissa con lanci di sedie e violenza generalizzata tra i
presenti.
Un clima tutt’altro che cordiale, sebbene fosse
stato auspicato all’inizio della manifestazione dal vice presidente
boliviano David Choquehuanca. Luis Arce, il presidente, si trovava
fuori dalla Bolivia per incontri internazionali e quel che poi è
diventato un compito piuttosto gravoso è toccato al suo vice, nonché
compagno di partito. Nel discorso di apertura, Choquehuanca ha fatto riferimento alla preziosità dello stato plurinazionale, rappresentato dalle sedici popolazioni presenti al Tantachawi: «un valore inestimabile», diceva asupicandosi concordia di svolgimento dell’incontro che avrebbe dovuto rinnovare gli organismi direttivi.

Alla fine dell’assemblea, però, succede il fattaccio: il convegno doveva scegliere tra due candidati (Lucio Quispe e Ponciano Santos) entrambi rappresentanti del Mas-Ipsp (il partito di Arce, Morales e Choquehuanca). Quispe risulterà essere il più votato ma Santos si prenderà il merito dell’elezione del primo. Non ci sarebbe niente di strano se non che il primo (Quispe) è arcista, il secondo è evista. L’incontro finisce a sediate: (il video è tratto dal quotidiano boliviano «La Razon»):

Il confronto tra Luis Arce e Evo Morales si fa ancora più “muscolare”. Dal congresso di ottobre tenuto a Lauca Eñe le cose sono andate sempre peggiorando: le accuse di tradimento nei confronti di Arce e la dichiarazione di espulsione formale (sebbene entrambi siano parte del Mas-Ipsp) stanno portando la Bolivia al caos. 

Dalla “autoproroga” alla candidatura.
Già, ma come è iniziato tutto?
Tra la fine del 2023 e i primi giorni del 2024 in Bolivia si sono succedute proteste vibranti condotte dalla corrente evista del Mas per la questione dell’autoproroga dei giudici. A seguito del congresso-farsa di Lauca Eñe, in cui  Evo Morales è stato riconfermato presidente del partito (ma a cui era presente solo la parte a lui fedele) e da cui ha preso il via la campagna per la sua ricandidatura alle elezioni presidenziali del 2025, la burocrazia boliviana ha iniziato a muoversi in antitesi all’assemblea. La giustizia avrebbe dovuto rinnovarsi nei suoi direttivi al termine dello scorso anno ma da parte del Mas (la parte governativa, quella vicina a Luis Arce) c’è stata la richiesta di proroga del mandato dei giudici che compongono i vari organismi (tra cui il Tribunale supremo elettorale). Proroga del mandato si traduce in “strada molto più impervia da percorrere per Evo Morales” in vista delle prossime elezioni.
Il fortino di Cochabamba 3 è ben saldo e Evo è stato rieletto in tutte le realtà di cui era portavoce, come la federazione dei coltivatori di coca. Una platea piena di gente con le guance gonfie di foglie di coca da cui, di tanto in tanto, vengono succhiati i liquidi benefici.
La legittimazione ricevuta dai cocaleros ha aperto la crisi generale.

Bloqueo!
Dal 22 gennaio a metà febbraio i sostenitori di Morales (che guida la sua corrente dal fortino di Cochabamba) avevano paralizzato le principali strade e autostrade del paese attuando blocchi stradali, interrompendo commerci, trasporti pubblici e privati. Secondo Gary Rodriguez, portavoce dell’Ibce (l’Istituto boliviano per il commercio estero), in quei giorni «l’economia boliviana ha perso circa 75 milioni di dollari al giorno».

Un blocco stradale a Cochabamba | Fonte foto © La Opinion Bolivia

La situazione dei blocchi stradali è rientrata attorno al 20 di febbraio, sebbene in qualche remota località cochabambina c’è ancora chi resiste. La questione non era più la “autoproroga” dei giudici (Morales è stato riconosciuto dalla giustizia come presidente ufficiale del Mas ma non candidato) quanto, piuttosto, il partito (il Mas) e la campagna pre le presidenziali “Evo2025”.

La battaglia dei congressi (farsa)
Evo Morales sa bene che riprendere in mano il partito dopo i fatti del 2019 non è facile.
La strategia di lavorare ai fianchi del Mas pare stia funzionando, almeno per ora: le organizzazioni sindacali, contadine, operaie ma anche le associazioni culturali, nonché quelle elettive che rappresentano le varie etnie boliviane, si sono tutte spaccate sullo scontro Morales-Arce. Tutte le organizzazioni sociali e sindacali vicine, o dirette da dirigenti del Mas, sono divise letteralmente a metà tra i due ex Presidente e Ministro dell’economia: le frange eviste convocano congressi per controllare ed egemonizzare federazioni e associazioni. D’altra parte la fazione arcista, che fino ad ora è stata più o meno silente, sta iniziando a giocare al medesimo gioco di Evo, chiamando a radunarsi, attorno al Presidente, l’altra metà di sindacati e organizzazioni. 

Per comprendere meglio quello che si sta dicendo, è utile riprendere un sondaggio pubblicato il 21 dicembre [2023] dal quotidiano boliviano «El Diario» (vicino al governo): i risultati dell’indagine mostravano come le persone stessero percependo che l’opposizione al governo di Arce non stava giungendo dalle organizzazioni centriste o di destra ma dallo stesso Mas 2.
Luis Arce, soprannominato Lucho da quando era il braccio destro di Evo, ormai è chiamato traditore dagli evisti e ne è stata chiesta l’espulsione a più riprese. La trasmissione Evo es Pueblo su Radio Kawsachun Coca ha lanciato gli hashtag “#Luchotraidor e “Leali sempre, traditori mai” (#lealessiempretraidoresnunca): ogni giorno dai microfoni della sua radio, Morales dà dei colpevoli dell’attuale situazione a “Lucho y David”.

Il nuovo congresso
Quattro giorni fa la frazione evista del Mas ha convocato un nuovo raduno nazionale per confermare la Direzione eletta al congresso di Lauca Eñe e ratificare la candidatura di Morales alle presidenziali. Siccome non era possibile convocare un nuovo congresso a distanza di un mese, la convocazione avvenuta domenica 3 marzo [2024] a Cuatro Cañadas (dipartimento di Santa Cruz) ha preso il nome di Ampliado. Una sorta di “assemblea allargata” in cui tutti i partecipanti si sono stretti attorno a Morales. Non una voce dissonante: tutti concordi con l’affermazione che “Evo es pueblo” (di una parte, sicuramente) e con la condanna a “Lucho” che “es traidor e golpista”.

 
Tra i due sembra non valere il detto che recita: “il gioco è bello quando dura poco”. La convocazione incrociata di congressi è appena cominciata. La fazione vicina al presidente ha chiamato i suoi per un congresso del partito a El Alto ma, immediatamente, è arrivata la risposta degli evisti: Gerardo Garcia, vicepresidente del Mas-evista 4 ha dichiarato che «l’unica figura che può convocare i congressi del partito è Evo Morales» e che la convocazione di El Alto «està “trucha”». Cioè fasulla. Wilma Alanoca, consigliera della città di El Alto, ha rincarato la dose: «quello degli arcisti sarà un congresso pieno di amici della burocrazia statale». Città governata dal Mas, non c’è neanche bisogno di dirlo.
Lucho Arce non sembra avere tutti i mezzi a disposizione per fronteggiare la situazione di impasse,
dal momento che il Tribunale supremo elettorale, pur invalidando il
congresso di ottobre degli evisti, ha dovuto prendere atto della
riconferna di Morales a presidente del partito, nonché della formazione
della nuova direzione eletta a Lauca Eñe.
Anche perché Morales era presidente del partito anche prima di tutto il caos che è scoppiato a fine 2023. Una leggerezza che Arce sta pagando a caro prezzo.

Arce e Choquehuanca sono stati espulsi
C’è, poi, da riportare che al congresso di Cuatro Cañadas, gli evisti hanno ratificato un documento che non dà adito ad interpretazioni in cui è stato stabilità: la validità del decimo congresso di Lauca  Eñe tenuto il 3 e 4 ottobre [2023]; la candidatura di Evo Morales alle presidenziali del 2025; l’espulsione di Arce e Choquehuanca dal partito dal momento che essi «non rappresentano in nessun modo la filosofia del Mas-Ipsp».

Parlamento boliviano: notte fonda.
Non è solo uno scontro personale tra due ex-amici, non è solo un partito paralizzato tra individualismi, non è neanche la questione dei blocchi stradali e dei congressi incrociati. La questione in ballo è altra, lo ha affermato anche la giornalista e scienziata della politica Lourdes Montero, in un articolo pubblicato da «La Razon». «Le scene imbarazzanti viste alla Camera dei Deputati nei giorni scorsi [3 marzo] mettono in luce un Parlamento che, più che uno spazio per dibattere, si è trasformato in un ring di wrestling». Montero si riferisce a quanto successo in Parlamento nei primi giorni del mese in cui i banchi del governo sono stati occupati dalla frangia evista del Mas: si è arrivati alle mani e alle parole grosse tra arcisti ed evisti che si accusavano reciprocamente di essere traditori della patria e golpisti. Tutto si è risolto con l’intervento del personale d’aula (ma anche di unità della forza pubblica) ma lo spettacolo è stato indecoroso. Secondo Montero è la Bolivia a perdere, non il Mas, né Evo, né Arce. Il paese è di fronte ad una lotta individuale, interna ad un partito, che farebbe perdere tutti, anche chi non è del Mas. La posta in gioco è altissima: «c’è un intero esercito di leadership piatte e poco brillanti [nella politica boliviana]: un gruppo di girini che spuntano dalla pioggia e rischiano di trasformarsi in rospi in cerca di voti alle prossime elezioni».

Rospo o meno, Morales si sta giocando il tutto per tutto, ed è certamente l’ombra di quel che era al momento della sua prima elezione a Presidente del Paese.

Al
termine del congresso a Cuatro Cañadas cominciano i balli. Si
festeggia. Com’è usanza, si posano petali di fiori sulla testa di
Morales e dei dirigenti del Mas. Comincia la festa: voci gridano “li
abbiamo espulsi!”, “sono traditori”. Morales i
gnora volutamente – o sembra dimenticarsene a fini personali e politici della fase in atto – le condizioni degli strati popolari boliviani (specie nelle città), costretti a lavorare alla giornata o ad accettare salari sempre più bassi a fronte di un aumento di ore della giornata lavorativa. Per non parlare dei minatori: lasciati all’individualismo e al cercare lo stagno in solitaria, contando solo su loro stessi, senza una società statale che li tuteli nel cuore delle montagne. Aspettando, cercando e pregando di trovare la vena grande che sistemi tutto, anche se lo stagno è scambiato, ormai, per pochi dollari.
Ma per non sentire la fatica, la fame e la stanchezza si può continuare a masticare coca fino a dimenticarsi di dormire. Fino a morire. 

1Si
tratta di una confederazione assembleare che rappresenta più di
sedici popolazioni indigene boliviane di lingua aym
ara e uru che
abitano i dipartimenti di La Paz, Oruro, Potosí, Cochabamba,
Chuquisaca e Tarija.

2 «Il partito di governo è anche principale strumento dell’opposizione. La frangia evista è considerata dalla popolazione presa in esame dallo studio come elemento d’opposizione al governo, prima ancora delle altre organizzazioni politiche centriste, di destra e anti-Mas: «Più della metà della popolazionevede nell’ala evista l’opposizione principale alla presidenza di Arce, molto più dei movimenti di Santa Cruz e delle opposizioni Comunidad ciudadana e Creemos».Santa Cruz è considerata, storicamente, la città capofila dell’opposizione a Evo Morales sin dalla sua prima presidenza.

3 Cochabamba è la città (nonché “capoluogo di regione”) in cui Morales si sente più al sicuro, essendo presidente della Seis federaciones del Tropico de Cochabamba: l’organizzazione che racchiude produttori e coltivatori di coca.

4 Vicepresidente de iure ma anche de facto, data la decisione del tribunale.