Ma quali terre rare: c’è un brasiliano che gioca in Groenlandia!

Terre rare, investimenti immobiliari, centrali idroelettriche e installazione di poderosi data center. L’interesse di Donald Trump per la Groenlandia non rappresenta una notizia che possa annoverarsi nei termini delle novità. Nel 2019, durante il primo mandato alla presidenza, Trump aveva affermato di voler acquistare la Groenlandia. Letteralmente. Una riedizione moderna della compravendita dell’Alaska con lo Zar. In un lungo articolo di «Bloomberg» dell’agosto di quest’anno si fa esplicito riferimento al fatto che gli alleati economici del presidente statunitense abbiano interesse ad attivare (ma anche riattivare) miniere o progetti estrattivi nel sud della Groenlandia (come Tabreez situato tra Qaqortoq e Narsarsuaq) al fine di poter contrastare «la morsa della Cina», riguardo le terre rare di cui, nonostante il nome, la Groenlandia pare esserne sufficientemente ricca. O almeno, ne possiederebbe quel tanto che basta per poter far sì che l’adagio trumpiano del rendere nuovamente grande l’America possa avverarsi.

In fondo Trump ci spera: le elezioni groenlandesi di marzo hanno avuto l’inaspettato e favorevole esito della sconfitta della sinistra socialista radicale favorevole all’indipendenza dalla Danimarca (Inuit Ataqatigiit – Comunità inuit) in favore della formazione Demokraatit (Democratici), moderatamente autonomista e in passato fortemente unionista con la Danimarca. Una conquista non aver più a che fare coi rossi. Fare della Groenlandia un altro stato americano è uno degli obiettivi dei repubblicani che potrebbero così contare su uno spazio sterminato da poter gestire come dépandance statunitense ma, nonostante la sconfitta della sinistra, la realizzazione del piano Usa potrebbe non andare troppo lontano. Anche i dirigenti dei democratici, a seguito delle dichiarazioni di Trump, si sono spostati su una riaffermazione del principio dell’autonomia, pur in cooperazione con la Danimarca. Chissà che Trump non abbia pensato, foss’anche per un secondo, di far sì che i colloqui attorno al conflitto russo-ucraino si potessero tenere in Groenlandia.

Un fermo immagine del film “We are Greenland: football is freedom” in uscita il 22 agosto [2025]. Fonte: https://www.imdb.com/it/title/tt37644735/?ref_=mv_close

Occhi puntati sul campionato

Ma nell’isola più grande del pianeta, in realtà, il clima non sarebbe stato accogliente per Putin e Trump. Non tanto per questioni legate alla geopolitica quanto per il fattore campionato di calcio. O meglio: un torneo (due gironi all’italiana a eliminazione diretta). Ufficialmente il più breve di tutto il mondo, dato che, ad esclusione delle fasi locali (la cui datazione è molto variabile) le finali si giocano nell’arco di una settimana. Una manciata di giorni, poco più, perché la stagione calcistica dell’isola più grande e a nord del mondo si compia. Quello che un quindicennio fa era il Gm Coca-Cola Championship, sta ora assumendo la forma di un torneo calcistico capace di camminare sulle proprie gambe con una struttura non più embrionale. Mai come quest’anno i groenlandesi attendevano di disputare le partite delle squadre locali sui campi di erba sintetica: la terra battuta è ormai un lontano ricordo e si è mantenuta solo in zone remote del paese (all’est, la parte più povera, o all’estremo nord-ovest).

Un brasiliano in Groenlandia

Così come impazienti erano anche i giocatori e i sostenitori del G-44 di Qeqertarsuaq, il cui 11 titolare vantava addirittura un calciatore brasiliano (Ricardo Carvalho, stabilmente in quarta serie islandese) in prestito tra le proprie fila. È stata la prima assoluta per un calciatore latinoamericano nel campionato groenlandese. Peccato che il G-44 non ha potuto molto contro la vincitrice (di nuovo) del torneo: B-67, una sorta di Juventus artica. La squadra del plurisportivo, allenatore (già calciatore) e icona del pop-rock locale Nukannguaq Zeeb, a cui va il successo della riuscita del prestito di Carvalho, si è dovuta accontentare della medaglia di bronzo. Fin da quando è stato istituito, il campionato in Groenlandia ha fatto in modo di crescere di anno in anno, anche dal punto di vista della visibilità internazionale (quest’anno c’erano anche media del Regno Unito a seguire gli sviluppi del torneo, oltre che la locale emittente radiotelevisiva KNR). Perlomeno per quanto riguarda il calcio maschile.

Ancora niente torneo femminile

Il torneo femminile non si organizza dal 2023. La situazione per il movimento calcistico femminile groenlandese non è rosea e in poco più di dieci anni è andata visibilmente deteriorandosi: dopo il Covid la federazione non ha più avuto la forza di organizzare il torneo. Tutte le risorse della Kak sono state orientate verso la sezione maschile. È bene, però, ricordare che nel 2011 la nazionale femminile di calcio della Groenlandia raggiunse la medaglia di bronzo agli Island Games così come due anni dopo ai medesimi giochi svoltisi a Bermuda aveva ottenuto l’argento. 

Per una manciata di giorni, ad ogni modo, terre rare e geopolitica sono state ben lungi dal toccare l’interesse collettivo dell’isola.
C’era un brasiliano che indossava la maglietta del G-44. Altroché Trump. 

Un fermo immagine del film “We are Greenland: football is freedom” in uscita il 22 agosto [2025]. Fonte: https://www.imdb.com/it/title/tt37644735/?ref_=mv_close

«Esiste un piano Usa per spaccare il Mas dall’interno», ma è Morales ad aver cominciato

«Le informazioni trapelate dall’ambasciata Usa in Bolivia mostrano chiaramente che esiste un piano per la ri-colonizzazione del nostro paese. E questo sarebbe possibile andando alla rottura del Mas per cercare di candidare un outsider alle prossime elezioni per conto del Mas».
Evo Morales, Presidente del Mas-Ipsp e autoproclamatosi candidato del partito per le elezioni del 2025, legge pubblicamente un documento «siglato il 18 aprile dall’ambasciata degli Usa in Bolivia», ha assicurato, nel corso della manifestazione di ieri [17 agosto 2024] a Caranavi (piccola cittadina nella regione de las yungas a nord est di La Paz).

«Stanno cercando di spaccare il Mas per prendersi il litio e le terre rare del nostro paese, hermanos», dice Morales leggendo il documento  e arringando la folla ammutolita in religioso silenzio. «Eso nunca, Evo! [Questo non succederà mai, Evo!]», urla qualcuno: la tensione si rompe fragorosamente in un applauso in sostegno a Morales. Il discorso continua e si conclude in una festa nella cittadina yungeña.

Dopo le tensioni verificatesi nel partito a seguito dell’annuncio della sua candidatura, nonché dopo aver di fatto – spaccato in due il Mas tra evisti (tendenza di sostenitori e fedelissimi di Evo Morales) e arcisti (tendenza di sostenitori del Presidente boliviano Luis Arce Catacora e del vicepresidente David Choquehuanca), Morales sembra aver preso in mano la situazione e sta calando tutti gli assi che ha in mano.

Un candidato outsider?

Questa sarebbe la rivelazione resa da Evo Morales mentre parlava dal palco allestito per la manifestazione svoltasi a Caranavi. L’obiettivo dei gringos sarebbe il medesimo di sempre: appropriarsi delle ricchezze della Bolivia, specie nella fase attuale in cui l’occidente politico ha sempre maggior necessità non già di idrocarburi, quanto di terre rare e litio. Materie di cui la Bolivia è indubbiamente molto ricca.

Un candidato terzo che non proverrebbe dalle fila del Mas sarebbe il colpo di teatro «dell’impero nord americano», nonché di parti della borghesia boliviana: dopo il tentato golpe che ha coinvolto settori deviati dell’esercito e dello Stato maggiore boliviano, gli Usa – sostiene Morales – si starebbero preparando a «spaccare il Mas dall’interno».

Il comizio di Evo Morales a Caranavi | 17 agosto 2024 | Fonte: pagina Facebook Evo Morales Ayma.


Chi spacca cosa?


Uno scenario di intromissione nel processo elettorale di un paese sudamericano non rappresenta, nei fatti, una novità per la politica internazionale. Non serve riesumare la dottrina Monroe nella sua riformulazione rooosveltiana (così come pure ha ricordato Morales dal palco di Caranavi), basti pensare ai colpi di stato palesemente eterodiretti dagli Usa nella regione. Il golpe nei confronti della prima vittoria di Hugo Chavez in Venezuela, per rimanere nei primi anni del nuovo millennio, ne fu un chiaro esempio.

Sebbene sia del tutto plausibile, tuttavia la spaccatura del Mas non sarebbe da imputare a nessun altro se non a Evo Morales stesso.

Ad ottobre dello scorso anno [2023], Evo Morales ha tentato il colpo di mano sul Mas, di cui è tutt’ora Presidente, come già ricordato (la carica giuridicamente più importante) convocandone la parte del partito a lui fedele in un congresso-farsa nel dipartimento di Cochabamba, nella cittadina di Lauca Ñ e da lì è cominciata a venir giù la metaforica e proverbiale slavina. Il partito si è spaccato e ora esistono due Mas che sono letteralmente l’uno contro l’altro.

Casus belli

Si aggiunga la questione della cosiddetta auto-proroga dei giudici: il Presidente Arce sostiene la proroga dei giudici di quella che in Italia chiameremmo Corte Costituzionale e che invaliderebbe la candidatura di Morales alle presidenziali. Non essendosi ancora tenuta la votazione popolare che sostituisca i membri decaduti a dicembre 2023, il Governo li ha prorogati de facto.
Evo ha mostrato i muscoli e ha proceduto con i suoi mezzi: blocchi stradali in tutto il paese. Dal 22 gennaio a metà febbraio [2024] i sostenitori di Morales (che guida la sua corrente dal fortino di Cochabamba) hanno paralizzato le principali strade e autostrade del paese, in particolare l’arteria Oruro-La Paz, attuando blocchi stradali, interrompendo commerci, trasporti pubblici e privati. Secondo Gary Rodriguez, portavoce dell’Ibce (l’Istituto boliviano per il commercio estero), in quei giorni «l’economia boliviana ha perso circa 75 milioni di dollari al giorno». Ma la faccenda non si è conclusa neanche in quel caso.
Se Morales ha convocato il congresso ad ottobre [2023], riconvocandone poi un secondo nel marzo [2024] (chiamato ampliado), Arce ha risposto chiamando l’assemblea congressuale a El Alto nel mese di maggio. Per l’amministrazione e la burocrazia boliviana, però, nessuna delle convocazioni è giuridicamente valida: nessuna delle assemblee è stata riconosciuta come propria del Mas così come nessuna ha avuto il placet per la registrazione del nuovo statuto che entrambe le parti hanno riscritto in separata sede.
Nel corso di questo braccio di ferro politico si è inserita la divisione all’interno di ogni singola organizzazione sindacale, sociale e interculturale che orbita attorno al partito, tanto che il 2 marzo il grande incontro (in aymara: Jach’a Tantachawi) tenutosi a Oruro e promosso dal Conamaq (il consiglio nazionale delle popolazioni indigene del Qullasuyo) è terminato a pugni e sediate, con tanto di intervento della forza pubblica. E sì che l’organizzazione doveva scegliere un nuovo rappresentante tra due entrambi del Mas. Manco a dire ci fossero davvero esponenti outsider o della destra.
I rapporti tra le due ali del Mas sono andati deteriorandosi sempre di più quando ad inizio giugno [2024] il presidente del Senato Andronico (Mas, vicino a Morales), in sostituzione al presidente assente e al vice Choquehuanca in missione all’estero, ha fatto in modo di far approvare la destituzione dei componenti del tribunale che invaliderebbero la candidatura di Evo nel corso di una seduta parlamentare. Le elezioni popolari non sono state, tuttavia, ancora indette e la proroga dei giudici continua ad esserci de facto. L’azione di Andronico non ha fatto altro che inasprire ancora di più le parti in lotta nel Mas e nella società boliviana.

E ora?

Forse dopo il tentato golpe ai danni della presidenza di Luis Arce Catacora, la Bolivia dovrà davvero fare i conti con il peso specifico dell’autocandidato Evo Morales. In questi mesi (quasi una gestazione) la società boliviana si è atomizzata ed è stata polverizzata a tal punto che risulta verosimilmente impensabile che le due parti in lotta all’interno del Mas possano siglare un accordo di tregua, sedendosi pacificamente attorno ad un tavolo per concludere delle trattative.
E i candidati alle elezioni del 2025 continuano a essere due: Evo Morales e Luis Arce.

Pubblicato su La Rinascita – delle Torri