Vota [sempre] Garibaldi

Vota Garibaldi, Lista n.1. Si trattava del Fronte democratico popolare, dell’unione fra Psi e Pci alle elezioni del 1948, le prime libere dopo il fascismo e la guerra. Scritta rossa sul muro. Se fossimo stati in un film della serie Don Camillo, Gino Cervi (alias Peppone) avrebbe sentenziato che quella scritta era frutto di un paio di passate di minio. Qualcuno, dalle parti dell’amministrazione, deve aver pensato che quella scritta in Via Brollo, alla Garbatella, fosse uno smacco al decoro e fosse degradante per la città.
La rimozione della memoria storica passa anche da questo, nonostante sia un atto ben più grave perché fatto con inconsapevolezza pura: da bravi neoburocrati, i 5Stelle hanno agìto senza conoscere, mentre chi da anni si sta battendo per equiparare nazismo, fascismo e comunismo si sta sfregando le mani. 
È oltremodo discutibile che tale provvedimento si sia adottato per quel riguarda una scritta del 1948 e non per le migliaia di scritte fasciste sparse in tutto l’immenso territorio capitolino, da Primavalle a Corcolle.
A quanto pare in una città che trabocca di problemi enormi per quel che riguarda l’ordine pubblico, i trasporti, il lavoro, il degrado (quello vero), bastava togliere una scritta del ’48 della Lista Fronte democratico popolare e ripittare tutto perché la gente potesse dire di abitare un quartiere più decoroso. 
Ma nel frattempo che ci si affanna urlando al degrado per scritte e manifesti fuori posto, il palazzo di Casapound è ancora occupato. Così, per dire.
E ha ragione Lorenzo Lang: quella scritta andrà rifatta. In quello stesso punto.

«I mezzi dell'Atac fanno schifo», giusto. Il fatto è che sono mesi che viaggiano senza manutenzione

Ieri ho preso il 107. Non abitando tra Borghesiana e Pantano non lo prendo quasi mai. Comunque sia, questo era il “soffitto” del bus. Se fossi un radicale, il mio post inviterebbe i lettori a sostenere il referendum per la messa a gara del servizio pubblico (leggi: privatizzazione del servizio), indignandomi del fatto che le vetture non sono all’altezza di una “Capitale Europea”. Dato che non lo sono, inviterei coloro che si imbattono in questa foto, come per un precedente post che scrissi sul blog, a ripensare al fatto che le vetture (TUTTE!) stiano viaggiando senza manutenzione da mesi, mettendo a rischio sia i dipendenti, sia i passeggeri. La Corpa, infatti, azienda che si occupava della manutenzione dei bus (dunque un’esternalizzazione), non s’è vista rinnovare l’appalto e ha licenziato i suoi dipendenti. Non c’è bisogno di privatizzare, c’è la necessità di un servizio di trasporto pubblico (grassetto, corsivo e sottolineato) dignitoso per tutti.

Il dito, la luna, il bus in fiamme, la Raggi, l'Atac e la privatizzazione taumaturgica.

Più pensavo ad un titolo e più non mi veniva in mente davvero nulla di costruttivo se non questo. Non sono mai stato un titolista, questo c’è da dirlo.


La grande stampa è alla costante ricerca dello scandalo e della titolazione sensazionalistica che colpisca, che faccia vendere copie, che crei visualizzazioni sul sito piuttosto che appurare la veridicità di un dato fatto (si può sempre fare dopo con un errata corrige che non leggerà nessuno) oppure che lo interpreti in modo da mostrare una verità “altra” rispetto alla realtà dei fatti.
Le motivazioni di quest’ultima iniziativa editoriale, chiamiamola così, comune a tutti i grandi e medi editori (nessuno escluso) di quotidiani cartacei, hanno un fine latentemente politico: l’episodio del bus in fiamme di qualche giorno fa, ad esempio, è a dir poco eloquente. La stampa indica il bus in fiamme descrivendo i fatti e arrivando alla conclusione che l’Atac è certamente in rosso, che è una vergogna che i mezzi pubblici della città di Roma versino in una condizione da ottavo mondo (magari facendo anche parlare qualche esponente radicale dato il referendum imminente) e poi arriva alla conclusione politica affermando come la Raggi abbia dichiarato che i bus in fiamme sono «comunque meno del 2017», ridicolizzando ulteriormente l’affermazione (già di per sé risibile).
La storiella del tizio che indica la luna e lo stolto guarda il dito è applicata alla perfezione, confezionando un pacchetto di disinformazione, speculazione politica e ristrettezza di visione del reale consegnandola a chiunque (nel senso più totale del termine) che ne può porre e disporre come peggio crede.
La realtà, però, è un’altra. I bus vanno in fiamme perché la Corpa, azienda che si occupava della manutenzione dei bus di Atac, non s’è vista rinnovare l’appalto e ha licenziato i suoi dipendenti. Gli autobus di Atac viaggiano senza manutenzione. Questo è il fatto, ed è gravissimo che si stia speculando sul bus in fiamme per non dire che più di cento lavoratori che operavano nella manutenzione degli autobus hanno perso il lavoro (mansione utilissima, vien da sé la considerazione).

Il clima che si sta creando attorno alla presunta necessità di privatizzazione del trasporto pubblico è palese e la questione del bus in fiamme, trattata come è stato fatto dalla stampa italiana, ha finito per essere il più grande regalo alla campagna di Radicali Italiani per la «messa a gara del servizio di trasporto pubblico». Questo perché non si è posto un serio dibattito sulla questione di Atac, sulla sua gestione e sulle esternalizzazioni ma ponendo solo l’accento sul debito dell’azienda.

Lo "sloganificio" e l'amministrazione di Roma

Sloganificio. Il termine viene utilizzato a ragione da Mario Sechi, già direttore del Tempo, riguardo un tweet della Raggi prima che venisse eletta Sindaco di Roma, e prima ancora della partecipazione alla campagna elettorale post-Marino/Tronca.
Dunque, quando era ancora, assieme a Stefàno, De Vito e Frongia, consigliere d’opposizione in Assemblea Capitolina, Ignatius Marinus consule
Il termine sloganificio, diffuso tramite List il nuovo progetto del direttore, è opportuno ma a cui mi sento di dover aggiungere qualcosa: non si tratta solo di sloganificio, si tratta di banalizzazione estrema (certo conseguenza del termine menzionato) e personalizzazione di un qualcosa che dovrebbe andare oltre il mero additamento del colpevole, specie nella città in questione. La politica più è litigiosa e meno sa di contare, e questo è innegabile. Quando si inizia a parlare con toni simili si va a finire, inevitabilmente, nel ridicolo. 
Prova ne è non solo il tweet della Raggi in questione: Di Battista, infatti, il 5 marzo del 2015 se ne usciva scrivendo: «Piove un giorno e #Roma diventa la città più invivibile d’Europa #SottoMarinoDimettiti». Lungi dal difendere questo o quel primo cittadino, in questa sede mi limito solo a dire che un problema enorme come la gestione e l’amministrazione della Capitale non passa per mezzo di un tweet o di un post su Facebook. La propaganda va utilizzata cum grano salis, se si vuole impostare il proprio discorso pubblico in modo propagandistico lo si faccia pure, ma poi si argomenti, quali che siano le posizioni. In questo caso i social danno adito solo ad una pletora di facile propaganda, da cui si tiene ben lontano anche il minimo contenuto.
Le questioni della città di Roma sono imponenti e nella loro grandezza determinano, per forza di cose, anche quelle più piccole o quotidiane: non c’è amministrazione della Città se vengono accettati supinamente i vincoli del patto di stabilità e del debito pubblico.

Proprio riguardo il debito pubblico, il Commissario Straordinario per il Rientro del Debito del Comune di Roma, Silvia Scozzese, relazionando in commissione bilancio della Camera dei Deputati del 5 aprile 2016, disse testualmente: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore»

Tagliando con la metaforica accétta: il Comune deve ridare dei soldi, ma “non sa” a chi.

Il famoso audit sul debito (qualora servisse a qualcosa) proposto dalla Raggi è stato solo uno scalpo da mostrare ad una parte del Movimento5Stelle, niente di più. E ancora oggi, nonostante l’anno interno di governo, i gommoni servono ancora, Virginia Raggi consule.