Caso Almasri, parla Lam Magok che ha denunciato il Governo per favoreggiamento

«La mia lotta è per i rifugiati, per i migranti e per gli italiani tutti. Lo stato non sta rispettando le regole e se succede è un danno per chiunque». A parlare è Lam Magok Biel Ruei: 32 anni, rifugiato politico proveniente dal Sud Sudan. È arrivato in Italia nel 2022 riuscendo a sopravvivere alla prigionia in un centro di detenzione a Tripoli (Libia): «l’ultima prigionia è durata complessivamente 9 mesi», di cui 6 trascorsi a Mitiga. «Ero in una delle cosiddette Almasri prisons [prigioni poste sotto il controllo di Almasri]». Per arrivare in Italia dal sud Sudan esiste un corridoio umanitario  che, però, s’interrompe: le persone finiscono così direttamente tra le braccia dei trafficanti e nei centri di detenzione in Libia. Un approdo non sicuro a tutti gli effetti ma con cui il Governo italiano deve fare i conti per far sì che possa dar seguito alla retorica della riduzione degli sbarchi. Mediaticamente funziona: le percentuali contano più delle vite umane in termini elettorali. È la spietatezza della realpolitik. Il caso dell’arresto e successivo rimpatrio del generale Osama Almasri («Capo della polizia giudiziaria di Tripoli») da parte del Governo italiano ha riacceso il dibattito politico sull’immigrazione e sui centri di detenzione in Libia, da cui proviene Lam e che abbiamo intervistato insieme ad Alice Basiglini dell’associazione Baobab (realtà che gli ha fornito supporto legale per la sua azione). Le parti sono venute a contatto nel 2021 a seguito dell’onda lunga delle proteste condotte dal movimento Refugees in Libya.
Quando Lam ha appreso della notizia dell’arresto di Almasri ha subito pensato che giustizia fosse fatta ma gli eventi non sono andati come avrebbe sperato e la fragile fiducia è immediatamente crollata: «è in quel momento che ho maturato la decisione di denunciare il governo», insieme a David Yambio, conosciuto durante una delle detenzioni.
La vicenda è ormai tristemente nota perlomeno da quando il 28 gennaio [2025] la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha diffuso il video messaggio in cui mostrava l’avviso di garanzia ricevuto e giunto anche «ai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano» a seguito (sebbene Meloni avesse cautamente detto «presumo») «di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti». 
A seguito di quell’episodio, giunge la denuncia di Lam: «L’Italia è un membro della Corte penale internazionale e questo significa che se c’è un mandato a cui non viene dato seguito c’è un problema evidente», afferma. «La ragione per cui denuncio – ha proseguito Lam Magok – è che io sono in Italia in quanto rifugiato e vittima delle torture subite in Libia da Osama Almasri» e la decisione del suo rimpatrio lo ha reso «doppiamente vittima». Lam sta combattendo questa battaglia perché «se il Governo non rispetta le regole non le rispetterà né per gli immigrati né per gli italiani» e lo dice da un punto di vista tutto peculiare, cioè essendo «rifugiato che sta vivendo in Italia», dunque sentendosi parte del Paese. 
La decisione assunta da Lam è stata totalmente d’iniziativa personale ma, con tutta evidenza, non poteva essere condotta da lui solo: «per avviare un procedimento del genere c’è bisogno di un ufficio legale, in questo caso messo a disposizione da Baobab» a cui si è rivolto chiedendo aiuto.
Quando chiediamo a Lam se la Libia sia un paese sicuro per chi arriva dal sud Sudan, lui non esita a rispondere laconicamente: «No, non lo è». «La Libia – prosegue – non è un paese sicuro» ma per arrivare a conoscere, capire e comprendere la situazione presente nel paese bisogna fare uno sforzo. Ci sono vari rappresentanti politici che si contendono il territorio divenuto estremamente granulare dopo la destituzione di Gheddafi: «quando si parla di Guardia costiera libica si potrebbe far riferimento a tre istituzioni diverse», rincara la dose Alice Basiglini. Milizie che si contendono il territorio, generali che sembrano sceriffi dei film spaghetti western: una situazione che sta mantenendosi nel caos generale molto più a lungo di quel che analisti ed esperti prospettavano. «Si tratta di un paese rarefatto – afferma la rappresentante di Baobab – in cui manca un potere centrale con cui confrontarsi ufficialmente e in cui c’è in atto uno scontro fra più parti le quali rappresentano organizzazioni (di fatto) criminali e non sappiamo a chi rispondono». «Le organizzazioni internazionali conoscono qual è la situazione sul terreno ma non danno notizie sulla situazione: c’è la guerra, ci sono le milizie e la situazione è insostenibile», afferma Lam Magok. Sanno ma cercano di ‘salvare il salvabile’ poiché avere una negoziazione con le autorità libiche è praticamente impossibile. Una strategia che potremmo chiamare di «riduzione del danno», sostiene Alice Basiglini. «È chiaro che si tratta di una situazione complicata che deriva dal loro status nonché dal meccanismo di finanziamento, nonostante sappiamo bene che i pochi corridoi umanitari in atto siano organizzati e operati da Unhcr (cioè l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati)». Ma il numero di persone che riesce a passare attraverso i corridoi di Unhcr è esiguo rispetto al totale che finisce tra le maglie dei trafficanti e la stessa presenza delle organizzazioni internazionali non implica – purtroppo – la garanzia della difesa dei diritti umani. Tutto il resto è tortura (e propaganda politica conseguente). 
Articolo pubblicato su L’Eco di Bergamo

Due giorni “anarchici” per il Governo. Donzelli esplode in aula ma il dibattito sul 41bis resta al palo – Atlante Editoriale

Sul «Corriere della Sera» si parla di “autogol”, di imbarazzo e nervosismo. Proprio ora che Meloni e porzioni del governo (solite malelingue?) avevano ricucito il rapporto che alla stampa viene comunicato a giorni alterni come “saldo” e “in bilico” tra Nordio e Presidenza del consglio dei ministri. Come dar torto, d’altronde, a Francesco Verderami? D’altra parte neanche il condannato si sarebbe aspettato così tanto in termini di esposizione mediatica e politica.
Ma facciamo un passo indietro.
Si sta parlando del caso di Alfredo Cospito, detenuto al 41bis, in sciopero della fame da più di 100 giorni per cui proprio nella giornata di martedì ha sospeso l’assunzione degli integratori, traslato – per il motivo appena citato – dal carcere dalla struttura penitenziaria del nord della Sardegna al carcere “Milano Opera” in Lombardia.
Martedì è stata una giornata infuocata per il governo.
Il ministro dell’interno Ministro Antonio Tajani, nella conferenza stampa mattutina (alle ore 11:00) convocata insieme ai ministri Nordio e Piantedosi, ha dichiarato, rispondendo alle domande dei giornalisti riguardo gli episodi che hanno visto coinvolti gli anarchici mossi in solidarietà di Alfredo Cospito: 

«L’attacco contro l’Italia e contro le istituzioni italiane viene effettuato in tutto il mondo. Diciamo: alziamo il livello di sicurezza in tutte le ambasciate e in tutti i consolati. Esiste un’internazionale anarchica mobilitata contro lo Stato italiano». 

E ancora: 

«Lo Stato italiano è sotto attacco di un’internazionale anarchica». 

Secondo Carlo Nordio al termine di una lunga introduzione giurisprudenziale sulla natura delle misure restrittive afferenti al 41bis: 

«Questa ondata di violenze, atti vandalici e intimidatori da un lato costituiscono la prova che questo legame tra il detenuto e i suoi compagni esterni rimane, quindi tenderebbe a giustificare il mantenimento del 41bis; dall’altro che lo Stato non può venire a patti, essere intimidito, o anche mostrare un segnale [di cedimento a causa di] attività violente o minacciose».

Più o meno alla stessa ora, alla Camera dei Deputati, prende la parola il vice presidente del Copasir, deputato Giovanni Donzelli (Fratelli d’Italia): 

«[…] Cospito è un terrorista e lo rivendicava con orgoglio dal carcere. È uno strumento della mafia, non solo perché lo dice Cospito. Dai documenti che si trovano al Ministero della Giustizia, Francesco Di Maio del clan dei casalesi diceva, incontrando Cospito: ‘Pezzetto dopo pezzetto si arriverà al risultato’, che sarebbe l’abolizione del 41 bis. Cospito rispondeva: ‘Dev’essere una lotta contro il 41 bis, per me siamo tutti uguali’. Ma lo stesso giorno, il 12 gennaio 2023, mentre parlava con i mafiosi, Cospito incontrava anche i parlamentari Serracchiani, Verini, Lai e Orlando, che andavano a incoraggiarlo nella battaglia. Allora io voglio sapere se la sinistra sta dalla parte dello Stato o dei terroristi».

Le repliche parlamentari si limitano alla richiesta di scuse, Bonelli dei Verdi ne chiede le dimissioni e interroga la presidenza riguardo le modalità per cui il deputato sia riuscito ad entrare in possesso di determinata documentazione.
Il giorno dopo lo stesso deputato Donzelli dirà al «Corriere della Sera»: 

«Non ho divulgato intercettazioni ma ho parlato di quanto riportato in una relazione al ministero di Giustizia di cui, in quanto parlamentare, potevo conoscere il contenuto. Non ho violato segreti […] Non mi hanno dato nessun documento riservato. Volendo approfondire la vicenda Cospito, ho chiesto notizie dettagliate al sottosegretario Andrea Delmastro». 

Il Deputato ha poi proseguito riguardo le richieste di chiarimento che intende muovere nei confronti dei deputati sopracitati per la visita ad Alfredo Cospito in carcere.
Potrebbe profilarsi la figura del giurì d’onore nei suoi confronti.
Cioè? In teoria un organo giudiziario previsto dal sistema penitenziario italiano che giudichi nel caso in cui una persona sia accusata d’aver commesso reati di diffamazione e non può discolparsi dal fatto attribuitogli.
Nel Parlamento, si tratta nient’altro che di una commissione di indagine che potrebbe essere convocata dai presidenti delle due Camere su richiesta di un Parlamentare che si senta leso nella propria onorabilità nell’ambito del dibattito d’Aula, da parte di un altro membro del Parlamento. Al termine del lavoro, il giurì relaziona all’Aula.
Il giorno successivo, cioè ieri mercoledì 1 febbraio [2023] al termine dell’informativa del Guardasigilli, Bruno Tabacci (Centro Democratico) ai microfoni di Radio Radicale, ha sancito come il ministro abbia reso un’informativa dettagliata riguardo il caso Cospito ma non riguardo l’altro, ovvero: «il “caso Donzelli”». Di uno i Parlamentari sono stati informati, dell’altro no, stando a quanto riportato al microfono di Lanfranco Palazzolo. Cioè:

«La questione che è emersa nella giornata di ieri [martedì] è quella relativa all’utilizzo improprio di documenti che il ministro Nordio ha definito “sensibili” ma a me non risulta che a un deputato sia consentito di andare dal Capo di Gabinetto e prendere visione di documentazione di una certa natura e che riguardano un dipartimento così delicato». 

Ancora tutto tace, ma è un silenzio che – forse – durerà poco.
Tuttavia il punto rimane. Quale? Quello per cui, ancora una volta, in Italia si avvia un dibattito riguardo una questione piuttosto delicata come quella in oggetto, arrivandoci non per tempo ma per emergenza. E nell’emergenza ogni discussione risente di troppa vicinanza o troppa lontananza all’argomento: c’è chi agita lo scalpo dell’ideologia e chi quello della propaganda ma la questione di fondo rimane il dibattito ancorato ad una circostanza specifica senza un’analisi complessiva. Necessaria più che mai.
Pubblicato su «Atlante Editoriale»