Due congressi sono meglio di uno. Continua lo scontro interno al Mas tra Arce e Morales

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«Abbiamo provato a chiedere la convocazione al Presidente del partito, lo abbiamo supplicato, perfino. Non c’è stato verso». A parlare è Lucio Quispe, segretario esecutivo della Cstcb, la Confederazione Sindacale dei lavoratori contadini della Bolivia (Confederación sindical de trabajadores campesinos de Bolivia). Il presidente di cui parla il leader sindacale è Evo Morales e il partito è, chiaramente, il Mas, di cui Quispe è dirigente ma della parte fedele a Luis (Lucho) Arce e a David Choquehuanca, ovvero le due figure più importanti del paese (presidente e vice).
La parte arcista convocherà il decimo congresso mentre a ottobre gli evisti hanno convocato… il decimo congresso!

Cosa sta succedendo?

Ad ottobre dello scorso anno [2023], Evo Morales ha tentato il colpo di mano sul Mas, di cui è stato fondatore, più volte candidato e di cui ora ricopre la carica giuridicamente più importante: ha convocato la parte del partito a lui fedele in un congresso-farsa nel dipartimento di Cochabamba, nella cittadina di Lauca Ñ e da lì è cominciata a venir giù la metaforica e proverbiale slavina. La motivazione di tale gesto? Semplice: ricevere l’investitura per le prossime elezioni presidenziali del 2025.
La legge non glielo consentirebbe, ma il partito ha appoggiato la campagna “Evo2025“.
O meglio: la parte del Mas a lui vicina.
Prima del colpo di mano di Lauca Ñ, Morales ha pensato bene di accettare la rielezione a presidente della federazione di produttori di coca, la Seis federaciones del Tropico de Cochabamba. Forte del supporto ricevuto, Evo ha cominciato la sua battaglia fuori e dentro il Mas, spaccando partito e paese.

La convocazione degli arcistas
L’11 marzo le fazioni del Mas nonché di movimenti, sindacati, organizzazioni sociali e associazioni vicine a Lucho y David (Arce e Choquehuanca), hanno convocato «il X congresso ufficiale del Mas che si terrà dal 3 al 5 maggio nella città di El Alto».
Di per sé non sarebbe un evento straordinario, ma lo diventa nel momento in cui Morales, da presidente del partito, non ha concesso il placet per poter far svolgere l’assemblea alla parte amica-nemica, dello stesso partito ma ostile. Pare che la richiesta fosse stata inoltrata già a gennaio. Una parte talmente ostile che, spesso, gli eventi nazionali di confederazioni e organizzazioni (che di fatto sono una propaggine del Mas) finiscono a sediate, cazzotti e con interventi della forza pubblica per sedare le due parti in lotta (fisica). La “lotta libera” si è verificata anche alla Camera dei Deputati della Bolivia, provocando lo sdegno di gran parte della stampa boliviana, così come di tutta l’Americalatina.

Ma Evo non potrebbe candidarsi
C’è da dire che Tribunale supremo elettorale ha invalidato l’assemblea congressuale degli evisti a Lauca Ñ (ottobre 2023) ma ha dovuto comunque riconoscere la continuità giuridica del mandato di Morales alla guida del Mas: non essendo stato cambiato lo statuto, l’ex presidente è ancora rappresentante del partito.

Questo complica le cose. I deputati evisti alla Camera rispondono a braccia conserte e deridendo la convocazione arcista che si terrà a El Alto: «Il congresso non avrà la legalità né il riconoscimento da parte delle organizzazioni che fanno parte del Mas ma solo dalla “truppa” di Luis Arce», ha tuonato un deputato evista che (tanto per complicare le cose) si chiama Hector Arce. 
«Non vogliamo perdere lo strumento politico» – ha dichiarato Lucio Quispe  a «Los Tiempos» – «strumento che ci è costato lotta, sangue e lutti: Morales si sta  comportando in modo molto capriccioso e la convocazione del Congresso a El Alto è perfettamente legale».

Cosa dice la legge?
La normativa boliviana stabilisce che le organizzazioni politiche debbano rinnovare le loro cariche direttive entro il 7 maggio. Se dei cambiamenti dovessero intercorrere successivamente, il Tse potrebbe non ammettere quella forza politica alle elezioni. 

«Ci stanno boicottando»
Il Presidente Arce, da parte sua, ha più volte ribadito come gli evisti sono da considerarsi dei boicottatori. Per tutta risposta Morales ha convocato nuovamente i suoi a Cuatro Cañadas e ha espulso, con un documento ufficiale, Lucho y David.
«Ci sono senatori e deputati che difendono gli interessi del popolo boliviano e si oppongono ai gruppi di opposizione centristi [Comunidad ciudadana su tutti] e della parte evista.  Costoro non vogliono che miglioriamo le condizioni per il popolo: non ci fanno lavorare e ci boicottano», ha tuonato Arce alla cerimonia d’inizio dei lavori per la costruzione di un ospedale pubblico a Santa Cruz.
«Verrà il momento in cui verranno a chiedere i voti», ha sentenziato Arce e riferendosi chiaramente ad Evo Morales e ai suoi, «quando si arriverà a quella fase, saprete distinguere chi ha lavorato e lavorerà per la Bolivia con chi vi chiede solo il voto e l’appoggio per i propri candidati».

Competenza, Lino Banfi, l'Unesco, Roma Est

Una cosa in particolare di quelle che ho fatto fino ad ora me la rivendicherò con orgoglio, sempre: la candidatura con il Partito Comunista alle elezioni del 2016 per il municipio in cui vivo. Municipio VI, Roma Est, per capirci, una delle zone più disagiate di Roma. Io e Gianmarco, allora candidato presidente, ci siamo smazzati tutto il municipio a caccia di voti: stiamo parlando di un territorio decisamente vasto che in quanto a popolazione è dietro solo a città come Torino e Verona, contando la bellezza di 250.000 residenti. Ci fermavamo con ogni singola persona e con ognuno ribadivamo le nostre ragioni. 
Al momento delle votazioni sono andato a fare da rappresentante di lista al plesso scolastico dove era allestito il mio seggio, dove i vari candidati di Fratelli d’Italia, Lega, Partito Democratico rimanevano fuori al cancello a fermare la gente per ricordar loro come avrebbero dovuto votare. 
Illegale, però lo facevano lo stesso. 
Insomma, al primo piano vicino all’entrata dei seggi mi incontra un amico dei miei. Mi saluta e mi fa «ma insomma te candidi?» e io, un po’ intimorito, ma comunque convinto della cosa: «beh, sì, la campagna elettorale è stata tosta ma ce l’abbiamo messa tutta». 
«Eeeeeh, lo so», mi fa questo tizio sempre più grave e scuro in volto, «ma co che lista te candidi?» poi guarda il cartellino che avevo appeso e capisce. 
Annuisce. Va a vedere i candidati di tutte le liste vicino al suo seggio e si sofferma su quella del PC: Gianmarco Chilelli – Candidato Presidente. Lista: Marco Piccinelli, Silvia Di Luzio, Daniela Giorgini etc etc. Scorre tutti quanti i nomi col dito. Torna verso di me con le mani dietro la schiena, chiuse l’una dentro l’altra: «Ma ce vo esperienza, sete tutti regazzini: er più vecchio c’ha 50 anni ma è l’unico, poi tutti sotto i trenta, ma ndo volete annà?».
E io, forse un po’ stizzito, gli dissi: «Eh, t’ho capito, ma una volta ennòcestannotroppivecchi, mo ennòsottroppogiovani. Non capisco».
Lui, sempre più serio: «No, me dispiace, non te voto: ce deve andà gente competente a governà».
Esce dal seggio: «ho votato er Pd, però ar comune i 5 stelle». Gli auguro ogni bene, dicendogli – garbatamente – che il voto è suo e può farne quel che vuole, ma, dal momento me lo aveva rivelato, che aveva fatto na gran cavolata
Oggi, mentre inviavo un saggio per una rivista scientifica che ho in ballo da più di qualche mese, apro l’Ansa e vedo a caratteri cubitali: «Lino Banfi sarà commissario all’Unesco: “Porterò un sorriso in mezzo a tanti plurilaureati“». 
Ecco, dopo aver visto questa notizia ho ripensato al siparietto con quel tizio e della necessaria competenza che io certo non potevo avere nell’amministrazione della cosa pubblica. 
Certamente Lino Banfi sarà molto più competente di tanti signur ncravattat, Mario Merola/Zappatore docet. Sarà commissério. 
Rimbombano, ogni giorno, sempre più forti, in qualsiasi contesto storico, sociale e politico, le parole di Ennio Flaiano: «La situazione [politica] italiana è grave ma non è seria».

Brasile: Paese spaccato dalle presidenziali, la mappa di «Le Monde»

La sua vittoria conferma la svolta a destra in tutto il Sud America: avendo ottenuto il 55,1% dei 104,8 milioni di voti in palio, Jair Bolsonaro è stato eletto Presidente del Brasile domenica 28 ottobre 2018. Il candidato di estrema destra si trova a capo di un Paese profondamente diviso dalla politica, a trent’anni dal ritorno della democrazia.
Tutto il sud e l’ovest del paese, parte del Brasile con un reddito pro capite più elevato e una densità abitativa inferiore, ha votato a favore del candidato di estrema destra [le parti in blu della mappa].
Si noti, a riguardo, il risultato negli Stati occidentali della Rondoina e del Mato Grosso, principali aree di deforestazione del paese. Dato ancora più vero e confermato nel sud-est del Paese, negli stati di Rio de Janeiro, San Paolo, Espirito Santo e Minas Gerais: questi quattro stati producono circa il 60% del PIL del Brasile e sono popolati prevalentemente da bianchi, che rappresentano il 55% della popolazione, stando al censimento dell 2010, poco più della media del 47% del Brasile nel suo complesso.
La parte nord-orientale del paese, l’area con il PIL pro capite più basso e a media densità abitativa, ha votato più ampiamente a favore del candidato del Partito dei lavoratori, Fernando Haddadad [le parti in rosso della mappa]. Questa regione ha anche la particolarità di essere abitata dal più basso numero di discendenti di coloni europei e detiene la più alta percentuale di discendenti di schiavi africani.

Primarie centrosinistra per la candidatura a Sindaco di Roma: il punto dopo quattro mesi di nomi – Oltremedianews.com

Di candidati e candidature, di nomi che si impongono e di altri che tweettano, di uomini giusti per Roma e di donne che chiedono candidature.
Punto della situazione sulle primarie del centrosinistra romano. 

C’erano tempi in cui la certezza imperava in casa PD, tempi in cui c’era il candidato forte per Roma, in cui il nome del presidente della Provincia Nicola Zingaretti era sulla bocca di tutti. Già da parecchio, ormai, si dava per scontata la sua candidatura. Ma è proprio quando qualcosa si dà per scontato che accade qualcos’altro che rimette tutto in discussione. In questo caso, il fattore che ha fatto inceppare la “macchina della certezza” sono state le dimissioni di Renata Polverini.

Ad ottobre, dunque, iniziava il totonomi per la candidatura a sindaco nella tornata elettorale interna al centro sinistra di Roma, dopo che era stata archiviata la candidatura di Zingaretti, oramai quotato in Regione Lazio.
Ad aprire le danze era stato David Sassoli, già telegiornalista del Tg1 ed europarlamentare in quota Partito Democratico.
“Bisogna essere disposti ad accettare chi vince”, affermava a metà ottobre Sassoli, dato che mentre si imponeva come candidato alle primarie un altro nome entrava a far parte della lista: Umberto Marroni. 

All’interno del Campidoglio il Partito Democratico iniziava a prendere le parti di uno e dell’altro e il consigliere Ozzimo affermava: “Il prossimo sindaco deve essere una persona con una forte esperienza, deve conoscere la macchina amministrativa alla perfezione e deve aver svolto un percorso al suo interno”.
L’on. Monica Cirinnà faceva eco ad Ozzimo affermando come Marroni rispondesse perfettamente all’identikit tracciato dal suo collega. 

Poi arrivavano altre candidature: Mario Adinolfi si candidava con un “tweet” e affermava di voler fare di Roma “una città sinonimo di futuro”; Patrizia Prestipino, ex consigliere del XII municipio ed assessore alle politiche dello sport e del turismo, tappezzava la Capitale di manifesti con lo slogan “L’uomo giusto per Roma”; in ultimo, Gentiloni era il candidato che, parafrasando il sito di “huffingtonpost.it”, poteva portare equilibro tra le sfere ex Margherita e componenti ex Ds. 

Inoltre c’erano, e ci sono il giovane candidato dello PSI Mattia di Tommaso e, in quota Sinistra Ecologia Libertà, Luigi Nieri.
Nel frattempo è passata molta acqua sotto ai ponti: Adinolfi ha lasciato il Partito Democratico per per aderire al progetto del premier-tecnico uscente “Scelta Civica – con Monti”; il nome di Marroni, assieme a quello di Gasbarra, è quasi del tutto tramontato per far posto ad un più certo Gentiloni e, last but not least, in casa Sel anche Massimiliano Smeriglio, lanciato verso la Camera, abbandona la corsa per la “porpora” di Roma Capitale. 

Tutti uomini, soltanto una donna candidata nel centrosinistra e quindi ecco la nascita spontanea di un comitato che ha raccolto già 395 firme a sostegno della candidatura di Gemma Azuni a Sindaco di Roma.
Nell’iniziativa “L’Etica in politica” svoltasi il 5 gennaio scorso, promossa dalla stessa Azuni per rendicontare coram populo il suo incarico istituzionale in Assemblea Capitolina, il comitato che chiede la candidatura del consigliere in quota Sel è uscito allo scoperto.
In una nota la stessa Azuni scriverà poi che l’entusiasmo e la partecipazione che ha condiviso con i presenti all’iniziativa le hanno dato forza per continuare nella “battaglia politica che ben potrei condurre alla Regione dove la mia competenza porterebbe ad occuparmi dei servizi alla persona, di quelli sociali, di ambiente, della salute dei cittadini e delle donne”. 

Le stesse donne che ora chiedono una sua candidatura a Sindaco di Roma: “È anche una battaglia dell’altra metà del cielo. Perché non una donna Sindaco di Roma?”