Sciopero Cgil 'a babbu mortu', parla Nando Clemenzi, segretario dello Snap (Sindacato Nazionale Autonomo Produzione Tv)

Lo Snap è un sindacato ‘tornato a vivere’ da, relativamente, poco tempo, perché si è sentita l’esigenza della ri-creazione dell’organizzazione sindacale?Il nostro sindacato nasce alla fine del 1995 quando le diverse associazioni professionali presenti nei settori tv delle riprese interne ed esterne , proliferate in quegli anni per sopperire alle carenze del sindacato, si unirono per dar vita ad un nuovo soggetto sindacale denominato appunto SNAP (Sindacato Nazionale Autonomo della Produzione). Già allora il sindacato “ufficiale” era in piena crisi , incapace di rappresentare e difendere gli interessi dei lavoratori ( in quel periodo la stessa Cgil in Rai era commissariata). Oggi la situazione sindacale in Rai si è ulteriormente degradata e come nelle altre aziende la maggior parte delle OO. SS. tradiscono il loro compito storico, la loro vera natura e spesso sono il padrone in seconda. Gli inciuci e le spartizioni di categorie posti e favori sono la loro occupazione principale e hanno perso completamente la fiducia dei lavoratori. Lo SNAP ha fatto parte negli ultimi due anni di una confederazione autonoma che credevamo affine alle nostre idee forza, ma ciò si è rilevato un progetto deludente: ne siamo usciti e da pochi mesi siamo tornati indipendenti in linea con le nostre origini e le nostre radici.

Una delle lotte dello Snap è stata la recente denuncia della messa in onda di Ballarò di un mese fa, in buona sostanza. C’è stata, poi, risposta dal Direttore Generale, come chiedevate?Lo SNAP ha aderito allo sciopero degli Operatori di Ripresa del Centro di Produzione di Roma perché ne condivide pienamente le motivazioni. Abbiamo denunciato la sostituzione dei colleghi in sciopero nella trasmissione “Ballarò” con funzionari del settore e, addirittura, con un dirigente vice direttore di Rai2. Un fatto gravissimo rispetto al quale il Direttore Generale tace e quindi acconsente. In verità anche il comportamento dell’O. S. che ha proclamato lo sciopero ha un comportamento ambiguo tanto che ancora oggi non sappiamo se procederà con l’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori per condotta antisindacale nei confronti dell’azienda.

Il 12 dicembre si svolgerà il secondo sciopero generale della Cgil, lo Snap aderirà?  Lo sciopero del 12 dicembre in Rai è la complessa risultante di incapacità ,defezioni e confusione dei diversi sindacati. Un pasticcio che resta difficile comprendere anche a chi segue con attenzione le varie dinamiche sindacali. Dopo lo sciopero dell’11 giugno 2014 (contro il prelievo governativo dei 150 milioni di euro, la quotazione in borsa di Rai Way e una sua parziale vendita) molto partecipato anche senza il contributo della Cisl e del sindacato dei giornalisti (Usigrai) anziché continuare la lotta si è perso del tempo prezioso e ci sono state fratture nel fronte sindacale che ha disorientato e demotivato i colleghi. Si è arrivati alla quotazione e vendita parziale di Rai Way con una procedura di raffreddamento ancora aperta da Slc-Cgil Snater e Libersind che ovviamente si è conclusa negativamente. A questo punto era inevitabile la proclamazione di uno sciopero Rai e considerata la probabile scarsa partecipazione dei dipendenti Rai queste sigle sindacali hanno aderito allo sciopero generale proclamato dalla CGIL contro le politiche governative per il 5 dicembre. Successivamente anche la UIL ha deciso di scioperare e si è posticipato la data al 12 dicembre. Formalmente in Rai solo lo Snater ha proclamato lo sciopero generale il 12 dicembre contro la rapina dei 150 milioni di quest’anno degli 85 milioni del prossimo anno e contro la privatizzazione di Rai Way. Come sindacato autonomo abbiamo aderito allo sciopero del sindacato di base del 24 ottobre contro le politiche del governo di centro-sinistra–destra di Renzi. Per quanto riguarda le istanze in Rai restano le diversità di fondo e il mancato coinvolgimento della nostra sigla, quindi ci siamo dissociati da tempo da questa farsa che non porterà nessun risultato degno di nota.

Per quale motivo non aderirete? La politica, o comunque, l’area politica di riferimento, su questo, si spacca: la ‘lista Tsipras’ – L’Altra Europa – scenderà in piazza assieme ai suoi soggetti fondatori/costiuenti (Rifondazione/Sel/movimenti) mentre secondo altre organizzazioni (il Partito Comunista, Usb e il sindacalismo di base diffuso) quello del 12 è ritenuto uno sciopero “a babbu mortu”..Il nostro sindacato non ha ovviamente connotazioni politiche, tuttavia sarebbe un errore non analizzare con attenzione il comportamento dei partiti e il loro schieramento. L’opposizione politica sostanzialmente ricalca il posizionamento sindacale o viceversa e per storia e prassi ci sentiamo in sintonia con chi agisce e si organizza per fronteggiare l’attacco ai diritti , alle condizioni di lavoro e allo stato sociale. Quando tutto ciò è definito non ci arrendiamo e opponiamo la resistenza possibile ma ovviamente preferiremmo di gran lunga giocare un ruolo nella fase pre-decisionale e non in quella consolidata appunto del “babbu mortu”.

Per chiudere, un argomento di cui poco si è parlato sui media tutti, se non con qualche trafiletto sui maggiori quotidiani: Raiway. Cosa comporta, per i lavoratori tutti, il «via libera del cda di viale Mazzini alla vendita di una quota di minoranza»?Il grande limite della vicenda Rai Way è non essere riusciti a “esportare” nel tessuto sociale, all’esterno dell’azienda, la valenza di questa operazione. Del resto la Rai stessa, e con essa i suoi dipendenti, sono visti in maniera poco edificante dai cittadini. Questo luogo comune alimentato da soggetti e fatti vergognosi non fa giustizia di cosa è e di cosa rappresenta davvero la nostra azienda. Già in passato, con la Rai di Zaccaria si tentò di privatizzare Rai Way verso la fine del 2001 (49% alla Crown Castle per un controvalore di oltre 400 milioni di euro), fu il ministro delle Comunicazioni Gasparri che si oppose a questa cessione. Rai Way trasmette e irradia il nostro segnale in maniera capillare in tutto il territorio nazionale quindi è strategica. E’ stata potenziata con il denaro dei contribuenti, è sana e produce utili. Risulta altamente appetibile per gli interessi del comparto delle comunicazioni per gli ovvi sviluppi. L’ingresso del privato è una seria minaccia all’intero gruppo Rai e può avere a breve termine ripercussioni sull’integrità dell’impresa e dei livelli occupazionali. La decisione governativa di metterla sul mercato azionario avallata dal management aziendale è un vero e proprio attentato ad uno dei diritti universali quale è quello all’informazione libera e indipendente. 
La Rai non necessita di queste scelte che la ridimensionano pesantemente ma di una vera riforma che la liberi definitivamente dal giogo della politica e dei faccendieri.

Sardegna, la mobilitazione continua: mercoledì a Lanusei


L’iniziativa indipendentista non si arresta e, seppure dopo alcune contraddizioni sul dopo Capo Frasca, le date certe sono ormai due: mercoledì 29 ottobre e martedì 13 dicembre. 
La prima riguarda la mobilitazione della rete ‘Pesa Sardigna’ riguardo l’affaire Pisq (Poligono interforze Salto di Quirra) il cui processo si celebrerà il 29 a Lanusei; la seconda data è la seconda manifestazione del post-Capo Frasca, la cosiddetta ‘Cramada’ (chiamata) convocata dagli organizzatori che il 2 agosto avevano indetto l’ormai famosa ‘Manifestada Nazionale contra a s’ocupatzione militare’ e cioè Sardigna Natzione, a Manca pro s’Indipendentzia e i comitati Su Giassu, Su Sentidu e Gettiamo le basi.

La mobilitazione di mercoledì 29 vede coinvolte maggiormente le organizzazioni politiche, all’interno della rete ‘Pesa Sardigna’: il Fronte indipendentista unidu (Fiu), Progres – Progetu Republica e Scida – Giovinus indipendentisas, quest’ultima non facente parte della Rete ma aderisce e partecipa al sit-in organizzato per mercoledì 29 a Lanusei.

Proprio riguardo la lotta contro le basi militari, quest’ultima organizzazione studentesca è stata protagonista di una dimostrazione a Cagliari conclusasi con l’occupazione della facoltà di Lettere dell’Università del capoluogo.

Il corteo degli studenti contro le basi militari, in previsione della mobilitazione davanti al tribunale di Lanusei è stata molto partecipata e si potrebbe ben considerare prodromica del sit-in di mercoledì.

A tal riguardo il Fronte indipendentista unidu, in una nota, ha specificato che: «Non c’è lotta contro l’occupazione militare senza lotta per l’indipendenza. La grande manifestazione di Capo Frasca ha dimostrato il carattere indipendentista della mobilitazione, almeno nella sua direzione. […]. La mobilitazione contro l’occupazione militare deve ovviamente restare aperta a tutte le istanze pacifiste, democratiche e di base anche se non esplicitamente indipendentiste ma è necessario fare chiarezza su un punto fondamentale. Senza una chiara direzione indipendentista non è pensabile ottenere lo smantellamento dell’occupazione militare».

Sulla stessa linea Gianluca Collu, segretario di Progres – Progetu Republica che, raggiunto da Controlacrisi ha dichiarato: «L’udienza di Lanusei è importante perché per la prima volta vengono citati a giudizio degli alti generali delle forze armate italiane per i gravi fatti che sono avvenuti all’interno del poligono del Salto di Quirra (il Pisq). Per noi questa mobilitazione importante perché si sta parlando di poligoni militari e la nostra visione è quella di dismettere completamente tutti i poligoni: bonificare e riconvertire quelle aree interessate. Per cui quella data di mercoledì è importante» ancor più per i tre punti ribaditi in più occasioni da Collu, Piga e Zancudi (Progres e Fiu).

Nella nota del Fronte si legge, ancora, che «abbiamo molto chiaro il fatto che per l’Esercito italiano il poligono di Quirra sia irrinunciabile e che costituisca il vero interesse strategico su cui puntano l’Esercito, le multinazionali delle armi, lo Stato italiano e la stessa giunta Pigliaru. Per questo motivo rilanciamo con forza l’appuntamento, promosso dalla Rete Pesa Sardigna, per il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei in occasione della prima udienza del processo Quirra».

«Ben venga l’udienza di Lanusei perché avvalora le ragioni di un popolo e di una nazione. Quella sarda, chiaramente», continua il segretario di Progres, Collu che prosegue sulla stessa linea del Fronte riguardo i partiti sovranisti in Regione: «tra i partiti sovranisti e autonomisti buona parte sono in maggioranza in Regione per cui hanno una responsabilità nel governare la Sardegna, per cui ci sono delle prospettive diverse che sono emerse già dalle scorse elezioni sarde».

Sardegna, in dodicimila a Capo Frasca per la chiusura delle servitù militari

Articolo pubblicato per Controlacrisi

«Indipendentzia»«A Fora!» erano le espressioni più usate dai manifestanti di Capo Frasca nella giornata di ieri.
Le agenzie riportano i numeri, non ci sono scuse o letture doppie delle cifre: circa dodicimila manifestanti a portare la propria voce contro le basi militari.

La manifestazione, che era partita il 2 agosto dal comunicato stampa di a Manca pro s’Indipendentzia, Sardigna Natzione e dai comitati ‘Su Giassu’, ‘Su sentidu’ e ‘Gettiamo le basi’ aveva riscosso sin da subito un grande successo attorno all’aera indipendentista, raccogliendo subito le adesioni del Fronte indipendentista unidu, di ProgReS-Progetu Republica e delle altre organizzazione indipendentiste, sovraniste e sardiste.

L’appuntamento lo si era dato in una lingua di terra stretta ed impervia da raggiungere: il paese più vicino alla base di Capo Frasca è Sant’Antonio di Santadi, una frazioncina del comune di Arbus.

Le difficoltà si notano già all’arrivare: file di macchine si parcheggiano nei larghi spiazzi d’erba e sterpaglie che precedono il concentramento della ‘manifestada’: code lunghissime di automobili, pullman che, costretti a camminare a passo d’uomo per i troppi convenuti rispetto alla capienza di quella lingua così stretta di terra, mettono a durissima prova gli agenti della polizia locale, intenti a cercare di smistare la folla che accorreva da ogni angolo dell’Isola.

Le file di automobili e di pullman erano affiancate, nella piccola stradetta che portava al poligono, da altrettanto numerose file di persone ‘appiedate’ che, visto il caos del raggiungere ‘su gomma’ il luogo del concentramento, hanno preferito lasciare il proprio mezzo in uno degli spiazzi e proseguire a piedi.

10628264_895948667100481_3484632985634845990_n.jpg (Foto di Alessio Niccolai) 
Il concentramento era previsto per le 16:30, ma alle 16:45 i pullman arrivavano alle porte del piccolo Sant’Antonio di Santadi per scaricare centinaia di persone. 
Poco prima della piccola frazione gli organizzatori avevano allestito un palchetto e – più avanti, di qualche metro – c’era l’ingresso alla base militare: uno ad uno i rappresentanti iniziano a salire sul palchetto e ad impugnare il microfono.

I primi a salire sono Pier Franco Devias (a Manca pro s’Indipendentzia) e Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione). Successivamente anche Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu), Gianluca Collu (ProgReS), Gianfranco Sollai (gentes) e Michela Murgia (Sardegna Possibile).

In sostanza, mai come in questo caso si poteva dire: «c’erano proprio tutti».

E quei ‘tutti’, quei rappresentanti di organizzazioni, hanno marcato nettamente tutti i propri interventi: la cesura con lo Stato italiano era netta, e non hanno lasciato intendere minimamente aperte le porte alle collaborazioni con «i partiti che hanno detto ‘sì’ a questi scempi, faccia più brutale del colonialismo che stiamo vivendo».

Le voci dei manifestanti erano in perfetta linea con coloro che prendevano la parola dal palco: «a foras sas bases dae Sardigna» e ancora «la cosa che non capiscono i rappresentanti di partiti indipendentisti che ora siedono in Consiglio assieme ai partiti italiani è questa: non gli stanno dicendo nulla per andare contro le servitù militari, per lasciarci liberi nella nostra terra».

Le voci dei manifestanti sono tutte un vociare e un dibattere compulso, e quando si diceva «gli indipendentisti che siedono coi partiti italiani» era un chiarissimo ed evidente strale – seppur ‘lasciato intendere’ – al consigliere regionale Gavino Sale, leader di iRS – indipendentzia Repubrica de Sardigna. 
Sale, alle ultime elezioni regionali, ha preferito allearsi con la coalizione di centrosinistra capitanata da Francesco Pigliaru, ora Presidente della Regione. 
I consensi della sua organizzazione hanno subito un crollo verticale risultando la penultima lista della coalizione raccogliendo lo 0,86% dei consensi e l’entrata in consiglio grazie ai meccanismi della legge promossa ed approvata dalla giunta Cappellacci.

C’era, Gavino Sale, alla manifestada, ma non ha preso parola, viste anche le polemiche che si erano alzate nei giorni scorsi a causa del suo invito a venire a Capo Frasca al Presidente della Regione Pigliaru.


La marea di gente, per un’Isola che ha un milione e mezzo circa di abitanti spalmati in una superficie di 24 100 km², è un successo.

«E’ una nuova Pratobello!», si sente dire dai manifestanti.


DSCN1842.JPG (Foto di Marco Piccinelli) 

Secondo Gianluca Collu, segretario di ProgReS, «siamo tutti uniti per dire, una volta per tutte, tre cose molto semplici: dismissione, bonifiche, riconversione. E’ vitale, è necessario dismettere i poligoni militari, non si sta parlando di dismettere semplicemente le basi o cos’altro, si sta parlando di poligoni militari e l’unico modo per iniziare è chiudere immediatamente uno di questi. Bisogna, poi, urgentemente, apportare le dovute bonifiche – a terra e a mare – e, infine, trovare il modo di riconvertire i territori».

«Riguardo la presenza – prosegue Collu – lo speravamo: ai tavoli organizzativi ho sempre detto che una manifestazione di questo tipo aveva un successo se fossero arrivate non 300 ma 3000 persone. Quindi, il nostro messaggio è arrivato: la manifestazione non è per gli indipendentisti, non è fatta dagli indipendentisti, è fatta per tutti i sardi».

Secondo Bustianu Cumpostu (Sardigna Natzione): «questa volta, come per il referendum sul nucleare, sembra che ogni cittadino sardo abbia capito di essere parte indispensabile di un individuo che si chiama Nazione Sarda e abbia capito, inoltre, che quell’individuo possa camminare e pensare autonomamente. Se c’è un piede che non funziona, l’individuo non è completo, ma oggi i Sardi si sono assunti questa responsabilità».
Alla manifestazione era presente anche Gavino Sale che, però, non ha parlato dal palchetto allestito. 
A ‘Controlacrisi’ ha dichiarato: «c’è una crescita trasversale, oltre agli indipendentisti ci sono grossi settori della sinistra, dei moderati di centro. Anche il fatto che qui ci sia il Presidente del Consiglio Regionale e molti consiglieri è un segnale: nei giorni scorsi avevamo fatto una riunione di maggioranza e avevamo deciso che l’istituzione partecipasse alla manifestazione. 
Si sta raggiungendo un parallelismo tra associazioni, partiti e l’istituzione, anche perché lo Stato Italiano tratterà con un Presidente, mica con un responsabile di movimento! Lo Stato italiano tratterà con il legittimo rappresentante eletto della nazione Sarda. Dov’è la vittoria di questa manifestazione? Che qui c’è il popolo, organizzato in associazioni, partiti, movimenti, e l’istituzione regionale Sarda, cioè, il governo della nazione sarda».

Secondo il consigliere di iRS l’obiettivo, ora, è «aprire un tavolo bilaterale tra Stato italiano e Nazione Sarda che non s’è mai aperto: il Presidente Pigliaru non ha firmato l’accordo e vuole aprire un tavolo, possibilmente controllato da un’agenzia internazionale riconosciuta ufficialmente da ambo le parti».


Secondo Luigi Piga (Fronte indipendentista unidu): «il tempo delle mediazioni è finito. Se lo Stato italiano avesse voluto mediare lo avrebbe già fatto da tempo e invece, come tutti possono vedere, veniamo bombardati da sessant’anni. Questo modello non è più sostenibile: non lo è mai stato e non lo deve essere più, nonostante – lo ribadiamo – gli interessi della NATO siano fortissimi».

«Per queste ragioni – prosegue Piga – non possiamo abbassare la guardia già a partire dal processo di Quirra, l’altra cartina da tornasole degli interessi bellici in Sardegna. Per la pace dei popoli, non solo per il nostro, sappiamo bene che stiamo toccando gli interessi massimi dello Stato».

DSCN1902.JPG (foto di Marco Piccinelli)

Il fatto politico veramente significativo della manifestazione di Capo Frasca, però, è che il dibattito sulle questioni dell’Isola è tenuto e diretto dai movimenti indipendentisti che non sono all’interno del Consiglio Regionale, anche a causa della legge elettorale di cui si scriveva prima.

Gianfranco Sollai (gentes) dal palchetto scandisce nitidamente: «Sapete perché siamo così tanti? Perché non siamo rappresentati in Consiglio!».

Il dibattito sulle servitù militari, «sull’occupazione militare dello Stato Italiano», è tenuta saldamente dalle organizzazioni politiche che, fino a poco tempo fa, venivano bollate come ‘minoritarie’ sui quotidiani Sardi e Italiani.

A manca pro s’indipendentzia, Sardigna Natzione, Fronte indipendentista unidu, Progres, sono le stesse organizzazioni che, durante il periodo elettorale, venivano tacciate di minoritarismo e settarismo perché non si erano alleate con le coalizioni di centrodestra o centrosinistra.

Impossibile non dimenticare la polemica, iniziata su twitter, tra il regista Paolo Virzì e Michela Murgia, candidata di Sardegna Possibile e appoggiata da Progres, gentes e Comunidades.
Il primo aveva twittato come la Murgia «sia intelligente e nobile. Se capisce che la sua lista non ha chance, potrebbe rinunciare pro Pigliaru».
Il botta e risposta era ormai partito e la candidata alla presidenza della regione Sardegna aveva semplicemente risposto che “Il futuro non si fa coi passi indietro”.
Lo stesso Sale, sempre nei confronti della candidata e scrittrice Murgia, aveva dichiarato«Murgia a questo punto deve decidere chi deve far vincere. Io so chi vuole far vincere la Murgia: Cappellacci e il suo gruppo editoriale di riferimento. Lei ha rifiutato di vincere fin dal principio chiudendo le porte alle altre organizzazioni politiche indipendentiste».

E ancora: «Senza di noi il Partito Democratico perderebbe le elezioni! E, dico di più, a questo punto il confronto diventa molto, molto interessante. Presto le basi del Partito democratico, di Sinistra ecologia libertà, di Rifondazione, dei giovani che compongono le organizzazioni politiche che ho citato, inizieranno a fremere per la questione sovranista».

Insomma, il quadro politico indipendentista che si è andato a delineare si sta sempre di più diradando: all’esterno del consiglio regionale, coloro che sono sempre stati tacciati di minoritarismo, sono riusciti a portare in strada dodicimila persone.
E questo è un fatto incontrovertibile.
Si pone, dunque, la questione di come la fase stia cambiando e che la parte minoritaria dell’indipendenza sarda sieda all’interno delle istituzioni. D’altra parte tutti i rappresentanti di organizzazioni, associazioni, comitati, si sono ripromessi di continuare il tavolo della ‘manifestada’: prossimo appuntamento a Lanusei, per la costituzione parte civile al processo su Quirra.


Secondo Collu (ProgReS): «l’unica arma che rimane a noi che ci troviamo fuori dal consiglio regionale è coinvolgere quanti più Sardi possibile per fare pressione sul consiglio regionale: la classe politica indipendentista che sta governando non è in grado di prendere le decisioni che servono ora per cambiare il destino della Sardegna».



Gaetano Azzariti: «Le riforme costituzionali? Un gran pasticcio»

Sulle riforme costituzionali un gran pasticcio, a partire dal linguaggio usato. Parla il costituzionalista Gaetano Azzariti.
Articolo pubblicato il 28/7/2014 sul quotidiano digitale «Controlacrisi.org», non più raggiungibile online.

 
Da una parte il contingentamento dei tempi, dall’altra la richiesta di ridurre a cento le migliaia di emendamenti delle opposizioni proveniente dal vicesegretario del Partito democratico Guerini, dove si sta andando a parare? Lei che idea s’è fatto in merito?
«Mi sembra che ci sia un forte sbandamento: queste oscillazioni sono espressione di una difficoltà e non chiarezza di intenti. Da un lato c’è una fortissima volontà, del Governo e della maggioranza parlamentare che sostiene le riforme, di conseguire risultato, anche forzando le regole della dialettica parlamentare e utilizzando degli strumenti anti-ostruzionismo che il regolamento parlamentare permette. Quindi il contingentamento stesso che, certamente, è una misura estrema e contro lo spirito del dibattito parlamentare. Sono strumenti legittimi, ma certamente contro lo spirito del dibattito parlamentare, da un lato. Dall’altra parte c’è, evidentemente, la consapevolezza che modificare la Costituzione in punti così delicati – se mi passa il termine – a colpi di maggioranza, cioè a prescindere dal dibattito parlamentare non è un buon viatico per una buona riforma costituzionale e, anzi, più che non è buon viatico, è assolutamente improprio rispetto a quello che dovrebbe essere la discussione sul testo che per antonomasia dovrebbe essere il più discusso e confrontato con le opposizioni: la nostra Costituzione, più di ogni altra, insiste sul confronto parlamentare, questo è il senso delle maggioranze qualificate che essa prevede. C’è, quindi, questa difficoltà. Ripeto: da una parte una forzatura e dall’altra la consapevolezza che si rischia d’andare a sbattere».

A tal proposito anche la costituzionalista Carlassarre, in un’intervista realizzata dal quotidiano ‘il manifesto’, affermava di stare dalla parte delle opposizioni nonostante l’ostruzionismo perché, ha affermato: «[…] Strozzare un dibattito su una riforma che deve essere votata con una maggioranza elevata proprio perché sia ragionata e condivisa. Mi sembra una cosa inaudita»
«Certo, ma se ogni legge deve poter essere discussa, ‘la legge delle leggi’ – cioè la Costituzione – dovrebbe essere la più discussa. Ripeto, questa situazione complessivamente intesa, è l’espressione di una perdita del senso delle proporzioni. Ci troviamo di fronte ad una situazione sostanzialmente paradossale: da un lato l’ostruzionismo, dall’altro la volontà di forzare la mano. Da una parte e dall’altra, aggiungo, però, che per superare questa situazione paradossale, la palla è al governo: solo la maggioranza può fare delle aperture È chiaro che mentre l’opposizione non ascoltata è costretta – forse sì – a ricorrere all’ostruzionismo, che è uno degli strumenti utilizzati dalle opposizioni quando non trovano spazi di ascolto, la maggioranza ha la responsabilità di questa situazione di paralisi. Questa è la mia opinione: dovrebbe essere il Governo ad aprire all’opposizione».

Riguardo ciò che ha detto, cioè alla «perdita del senso delle proporzioni», mi viene in mente una parte dell’intervento in Aula del Ministro Maria Elena Boschi, che ormai sulla rete è diventato praticamente virale, in cui ella afferma: «Ho sentito alcuni parlare di svolta autoritaria. Questa è una allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione. Non c’è niente di autoritario. Parlare di svolta illiberale è una bugia e le bugie in politica non servono». Come legge le parole della Boschi?
«Direi che il linguaggio esprime una cultura politica. In questo momento si dimostra poco consona allo spirito di riforma costituzionale che dovrebbe avere non il Governo ma la maggioranza politica. La vecchia idea liberale, in base alla quale le idee altrui si rispettano quale che esse siano, non dovrebbe permettere espressioni improprie alle quali, purtroppo, la ministra ci ha già abituati. Si ricorda la polemica contro i “professoroni”? Ecco, quella è un’altra espressione di una ‘certa cultura politica’ che, in qualche modo, non è consona al ruolo di apertura al dialogo che dovrebbe avere un Ministro delle Riforme Costituzionali. Ripeto, insisto sul fatto che si tratta di un ministro delle riforme costituzionali perché che il Governo sia più o meno arrogante, è un fatto di stile, diciamo così. Può piacere o non piacere, forse una maggioranza politica che sia particolarmente esuberante e che sfoggi linguaggio, diciamo così, affrettato, rimane nell’ordine del possibile. Ma quando questo stesso linguaggio così agguerrito si trasferisce sul piano nobile della revisione costituzionale, diventa un linguaggio improprio. Questo perché il piano del confronto costituzionale è un piano del confronto, non del rifiuto. ‘Allucinazione’, ‘professoroni’, e qualche altra espressione che viene utilizzata è, invece, chiaramente espressione di un rifiuto. È evidente ed ovvio che la Boschi non condivide alcune posizioni come quella che affermi la riduzione degli spazi di democrazia attraverso questa riforma costituzionale.
Il Ministro, però, dovrebbe accettare il confronto non foss’altro per il ruolo che ricopre. E comunque, le logiche della riforma Costituzionale sono quelle del confronto, le logiche del rifiuto delle opposizioni possono essere quelle del confronto ordinario, del confronto di piccolo cabotaggio, dell’imposizione delle regole di parte.
Mentre, invece, il ministro Boschi dovrebbe capire che si sta scrivendo le regole di tutti, non le regole delle parti. E allora, nessuno può essere allucinato e nessuno può essere delegittimato nelle sue posizioni. Possono, ripeto, non essere condivise le opinioni delle opposizioni, come non possono essere condivise neanche le posizioni della maggioranza, ma la logica del confronto deve prevalere, e il linguaggio dovrebbe essere appropriato ed idoneo a questa logica».

In tutto questo, Renzi e la maggioranza, improvvisamente, apre ad un referendum riguardo le riforme costituzionali. Lo stesso Presidente del Consiglio che aveva chiuso le porte ad una consultazione referendaria, ora le riapre. Cosa sta succedendo: questa riapertura sta, in un certo qual modo, nel solco tracciato dall’esecutivo che andava dicendo poco fa?
«Guardi, voglio dire due cose. L’apertura sul referendum, che in sé è ovviamente giusta e opportuna, mi sembra – però – proposta come alternativa al dialogo. Cioè, se fosse questo, sembra che si dica: “io non discuto con voi, non c’è nessuna svolta autoritaria e illiberale, voi avete torto tant’è vero che sono disposto ad indire un referendum”.
Ora, sotto questa prospettiva, è sotteso un uso strumentale dell’istituto del referendum perché, in qualche modo, fa sì che questo istituto sia brandito come strumento di carattere populistico: non discuto con l’opposizione in Parlamento ma discuto col popolo una volta che ho forzato la mano e imposto la mia revisione costituzionale.
Ecco, sotto questo profilo, certamente, è un uso di un istituto delicatissimo: si tratta di una presa di posizione del tutto condivisibile, però è un uso strumentale di tutto ciò.
Detto questo, in una situazione per la quale dovesse essere approvata la riforma costituzionale in modo così divisivo – senza nessun confronto – allora il referendum costituzionale nel merito è certamente opportuno, quindi, sotto questo profilo mi sembra che siano tutti a richiederlo, tanto le opposizioni quanto la maggioranza. Mi sembra sia un unico punto di convergenza tra maggioranza e opposizione».

Qualche settimana fa c’era stato un accesissimo dibattito circa l’immunità parlamentare per i senatori che andranno a comporre il nuovo-Senato. Sentendo il rettore dell’università della Val d’Aosta Fabrizio Cassella in merito, egli affermava come l’immunità per i nuovi senatori fosse un qualcosa di utile nel lungo periodo, non tanto nel breve dal momento che viene vista molto male dall’opinione pubblica, considerati anche gli scandali nei Consigli Regionali del Paese (quasi tutti). Per lei si tratta di un istituto utile nel lungo periodo come affermava Cassella o no?
«Io lascerei il primo comma dell’articolo 68, che prevede l’immunità per i voti dati nell’esercizio delle funzioni. Mentre cancellerei l’immunità vera e propria, cioè quella compresa negli attuali secondi commi e seguenti dell’articolo 68, per le regioni che diceva lei poc’anzi.
Francamente mentre riterrei che l’autonomia del Parlamento e dei suoi Parlamentari, tanto Deputati quanto i Senatori – anche se andranno ad essere eletti in modo indiretto secondo le attuali prospettive del Governo – riterrei che nell’esercizio delle loro funzioni debbano essere coperti dalla insindacabilità. Quello è il primo comma. Per quanto riguarda, più strettamente, l’immunità, io francamente, in questo momento storico la escluderei tanto per i deputati quanto per i senatori, come che essi dovessero essere eletti.
Mi spiego ancora meglio: non è la modalità di elezione da cui dipende se assegnare o meno l’immunità (fatta salva la insindacabilità) quanto la garanzia dell’organo. Tendo a distinguere monto tra insindacabilità ed immunità, quest’ultima è stata un istituto storico molto importante ma in questo momento mi sembra superata. Magari tra qualche secolo ne riparleremo (ride nda)!
La valutazione sull’immunità in senso stretto è certamente anche legata alla cattiva capacità di gestirla diversamente da parte dei consiglieri regionali e anche, forse, da parte dei parlamentari stessi».

Grillo nell’Efd – il gruppo di Magdi Allam – Controlacrisi.org

 articolo apparso su Controlacrisi.org 

«I Gruppi Politici europei che hanno ufficialmente manifestato interesse per la delegazione italiana del M5S sono Europa per la Liberta e la Democrazia (EFD) e Conservatori e Riformisti Europei (ECR). Per completezza, si segnala che anche Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa (ALDE), il gruppo più europeista e federalista esistente al Parlamento Europeo, ha espresso una posizione unitaria, la quale tuttavia ha considerato i sette punti per l’Europa del M5S come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro-Europa’ definendo il M5S ‘profondamente anti europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’».

Questo uno stralcio del post sul blog di Beppe Grillo che, nella giornata di ieri, fungeva da cappello introduttivo alla votazione on line lanciata per le ore 15:00 agli iscritti al portale.
Tre i gruppi parlamentari, dunque, che gli iscritti al blog potevano votare: Efd, Ecr e il gruppo misto, quindi il non allinearsi.
I commenti in calce al post sono stati duri e riportavano contestazioni pesanti nei confronti del detenente il nome del sito di riferimento degli attivisti pentastellati. Ma si sa: su internet, sulla rete, il dibattito tende a polarizzarsi radicalmente salvo poi appiattirsi nella vita reale.
La maggior parte di chi sbraita contro le nefandezze dei democratici o dei forzisti, assimilandoli – magari neanche a torto – in un unico contenitore annettendoci anche genericamente ‘i partiti’, incitandoli a tornare alle loro magioni, si lasciano poi facilmente prendere da chi vende le false promesse dei mille euro per le casalinghe o dal voto utile a far vincere uno piuttosto che l’altro.
Assenti, poi, i Verdi Europei, nel trittico proposto da Grillo e Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, scriveva così su Facebook nella giornata di ieri: 

«Grillo ha impresso una svolta conservatrice e non ecologista con la decisione di andare con Cameron o con Farage (a meno che cosa improbabile non decidano di non iscriversi a nessun gruppo)».

Una manciata di ore, un pugno di tweets di qualche deputata e deputato pentastellato, e il gioco è fatto: il Movimento 5 stelle andrà nel gruppo degli Efd, quello del tanto discusso Farage dell’Ukip e quello da cui è appena uscito, e non rientrato perché non risultato eletto, Magdi Cristiano Allam candidatosi nelle liste di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale.
Giulia Sarti, parlamentare 5 stelle, aveva twittato: «Questo è il mio voto turandomi il naso per il gruppo europeo: conservatori e riformisti, i nipotini di Churchill. Solo per non far vincere Farage»; Stefano Vignaroli, collega della Sarti, invece digitava su twitter: 

«Sono indeciso se non votare il sondaggio sul blog o votare di non iscriversi perché trovo le altre opzioni scarsamente pluralistiche».

Il Movimento 5 stelle e il ‘menopeggismo’ imperante imposto dall’alto.
I parlamentari cinquestelle, piaccia o non piaccia, sono entrati da persone comuni nelle Istituzioni e stanno lavorando alacremente e con spirito di dedizione, questo è innegabile.
Vederli sottostare a delle proposte che non sono di loro emanazione, stando ai commenti rapidi di 140 caratteri, non sa di movimento nuovo e di rinnovamento politico ma di ben altro.
E così, invece, su 29.584 votanti la stragrande maggioranza (23.121, pari al 78%) ha indicato come gruppo di riferimento per il Movimento 5 stelle, l’Efd; la seconda scelta degli iscritti al blog è stata quella di chi avrebbe preferito il, cosiddetto, ‘gruppo misto’ (quello dei non iscritti), 3.533 i voti (12%). La più bassa percentuale di votanti è stata quella che intendeva mandare i cinque stelle nell’Ecr: 2.930 i voti.

Da sinistra, da Rifondazione, Paolo Ferrero ha così commentato in una nota: 

«Il Movimento 5 Stelle ha deciso di allearsi in Europa all’iperliberista e razzista Farage. Non è vero che non esistono la destra e la sinistra: la destra è quella con cui in Europa si allea Grillo e il M5S. La sinistra è quella con cui si allea lista ‘L’altra Europa con Tsipras’: la sinistra europea e il GUE».

Al di là delle percentuali dei votanti e di chi ha effettivamente votato esprimendo la propria preferenza per questo o quell’altro gruppo, la notazione che è opportuno fare è come la scelta sul piatto posta da Beppe Grillo sia stata polarizzata e definitiva al momento della consultazione on line: o il gruppo conservatore e riformista, comunque tendente a destra, o quello federalista democratico, che tende ancora più a destra.

Comunque si voglia leggere la faccenda da parte grillina, cioè sia che l’alleanza con l’Efd sia proficua per l’opposizione senza esclusione di colpi nei confronti dell’Unione Europea; sia che la consultazione sia stata coercizzata dalla scelta di due soli gruppi parlamentari, ora la risultante è una e una sola: il Movimento 5 stelle ha, finalmente, preso una posizione. E l’ha fatto senza dichiarare, in seguito, che i giornalisti volevano ingabbiare il Movimento in ‘vecchie categorie’ come la ‘destra’ e la ‘sinistra, perché il Movimento è ‘oltre’.
Stavolta la posizione c’è stata, c’è e ci sarà per la legislatura tutta.
Sarà interessante, dunque, vedere le reazioni di tutti coloro che si riconoscono nel Movimento 5 stelle e di Grillo stesso. Sempre che riesca ad accedere al suo sito che, da stamattina, è fuori uso come quello della Casaleggio Associati.

"Italicum, una legge da pazzi". Intervista a Massimo Bordin

I quotidiani della giornata di oggi hanno avuto molti interventi circa la discussione sulla legge elettorale italicum, frutto dell’accordo Renzi-Berlusconi. Michele Ainis, docente presso l’Università di Roma Tre, ha aperto così il suo editoriale per il ‘Corriere della Serra’: «Nel 1978 la legge Basaglia ha chiuso i manicomi. Riapriteli di corsa: c’è un matto pericoloso da internare. È il legislatore schizofrenico, l’essere che comprende in sé il non essere, la volontà che vuole disvuole. In passato ne avevamo avuto già il sospetto, dinanzi a certe leggi strampalate, a certe norme subnormali». Parallelamente su ‘Il Foglio’ nel suo quotidiano trafiletto, Massimo Bordin, giornalista di Radio Radicale, apriva così la sua rubrica: «Il problema della nuova legge elettorale sembra non sia più il suo funzionamento ma la rapidità della sua approvazione. Dobbiamo dotarcene subito e se non ci si riesce si va subito a votare, senza la nuova legge, non perché sia già deciso che si deve votare ma perché la nuova legge è così importante che va fatta prima possibile. Se ci si riflette a mente fredda sembra una cosa da pazzi. Ma c’è di peggio. Il sistema che abbiamo impedisce di scegliere i candidati agli elettori. E’ ritenuto, non a torto, intollerabile. Dunque la nuova legge sanerà questo grave vizio? No, perché le liste saranno bloccate, ma più corte» Di legge elettorale, dunque, di italicum e di premi di maggioranza, ne parliamo proprio con l’autore del trafiletto sopracitato: Massimo Bordin, giornalista – già direttore -, di Radio Radicale.
Sul trafiletto ‘Bordin Line’ che hai su ‘Il Foglio’ hai scritto, in sostanza, che il problema della legge elettorale non è più in merito al suo funzionamento ma circa la rapidità attraverso la quale essa stessa verrà approvata. Giacché ‘Bordin Line’ contiene poche battute potresti spiegare, in maniera più esauriente, cosa intendevi dire?
Io cercavo di dire semplicemente questo, e cioè che la prima aporìa, diciamo così, è la seguente: noi abbiamo preso atto del fatto che questa legge elettorale attuale, quella che il cosiddetto porcellum – peraltro dichiarato già incostituzionale – non è uno strumento adeguato per andare a votare. Di conseguenza siamo in una situazione per la quale non sappiamo bene con quale legge elettorale dobbiamo andare a votare, dal momento che ne abbiamo una ricavata ‘a ritaglio’ sulla sentenza della Corte Costituzionale. Questa è la situazione attuale, cioè: la legge che c’era, che faceva schifo a tutti, non c’è più perché una sentenza della Corte Costituzionale afferma come, in alcune parti, quella legge non è Costituzionale. Quindi, se adesso dovessimo andare a votare, voteremmo con una cosa che non si sa bene quale sia. Perché è qualcosa di ritagliato sulla sentenza della Corte. Allora Wdobbiamo fare assolutamente la nuova legge elettorale” , e questo porta a dire che “la faremo entro un mese” anzi addirittura, mi pare, che oggi si sia detto si sarebbe realizzata entro la fine della settimana. Quindi siamo decisamente a posto! Se, malauguratamente, Renzi non dovesse riuscirci, il governo va minoranza su una questione non propriamente marginale; quindi si crea un clima da elezioni anticipate e, quindi, per fare in fretta una legge elettorale, che ci serve assolutamente, noi andiamo a votare senza la legge elettorale che ci serviva tanto. Ti pare normale?
Per nulla…
Ecco, questo era quello che volevo scrivere nel trafiletto su ‘Il Foglio’ nel limite dei caratteri consentiti. Se poi proprio vogliamo dirla tutta, anche l’italicum che il Presidente del Consiglio Renzi vuole far passare, dopo aver stretto l’accordo con Berlusconi, a ben vedere è una legge da pazzi!
Senza ombra di dubbio pone degli sbarramenti per le forze politiche limitando, di fatto, la libertà democratica…
Ma no, guarda, non ne faccio un problema di libertà democratiche, o di rappresentanza, dico una cosa, però: la semplificazione del sistema politico si può fare in tanti modi. A mio avviso, il modo più semplice dal punto di vista elettorale è il sistema uninominale. Collegi piccoli, candidati che devono avere la residenza del collegio in cui sono candidati, l’elettore li conosce e li può votare, altrimenti non li vota. C’è un rapporto elettore/eletto che è il fattore più importante. Però questo non lo si vuole fare, vabbè.. Ci sono altri sistemi, ognuno adotta il suo, perché poi se si parte da un sistema proporzionale – perché di questo poi si tratta – si deve poter mettere degli altri strumenti che ti consentano comunque la semplificazione, non il marasma di coalizioni troppo grandi o delimitazioni per i piccoli partiti etc. C’è chi mette il premio di maggioranza ma, praticamente, non ce l’ha nessuno perlomeno in Europa. Nei paesi fondatori dell’Europa non ci sono sistemi elettorali con premi di maggioranza, c’è chi usa la soglia di sbarramento ed è il caso della Germania…
Anche se, per le elezioni europee, la Corte Federale Tedesca ha dichiarato incostituzionale quello sbarramento…
Ah sì certo, in quel caso hanno ragione! Tra l’altro non ci si rende conto di un’altra cosa e cioè che per l’Europa noi votiamo un Parlamento che non ha potere legislativo. È un Parlamento con poteri limitati e in questi casi, in genere, il sistema che si usa il proporzionale puro, per dare il massimo della rappresentanza. Ma, comunque, lasciamo perdere il problema del Parlamento Europeo, ritorniamo ai parlamenti nazionali. Francia ed Inghilterra possiedono l’uninominale, i paesi che hanno un sistema proporzionale adottano altri sistemi per avere, comunque, un sistema politico semplificato. In Germania hanno la soglia dello sbarramento al 5%, in Spagna possiedono i collegi piccoli in cui non c’è soglia di sbarramento ma se il collegio è piccolo bisogna che un partito ottenga una percentuale molto alta per avere un eletto. In parole povere, col collegio piccolo, senza – almeno – il 15% non si prende un seggio. Noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo realizzato un sistema che ha i collegi piccoli, la soglia di sbarramento, il premio di maggioranza. Un delirio! Un delirio assoluto!
Attualmente, c’è un parlamentare, tra l’altro ex radicale, che ha combattuto in solitaria mettendosi in sciopero della fame contro il porcellum. Il problema è che Roberto Giachetti si è pronunciato a favore dell’italicum che, però, non sembra così diversa dal porcellum, anzi… Sembra quasi peggiore…
Giachetti ha condotto una battaglia sacrosanta che, poverino, ha condotto da solo. Il problema dell’italicum è che, di fatto, è un sistema proporzionale, non voglio dire antidemocratico, ma certo non valorizza il rapporto elettore/eletto e strozza inutilmente la rappresentanza con una serie di meccanismi di semplificazione mettendoli tutti insieme. Diventa una cosa pazzesca! Debbo dire che anche i parlamentari cinque stelle non hanno tutti i torti nel bollare l’italicum come un sistema elettorale che va anche contro di loro. In fondo è vero: se lamentano il fatto che il sistema elettorale è stato creato ad hoc contro di loro è vero, hanno ragione. La cosa che a me fa rabbia è che si aveva davanti una strada maestra. Si voleva abolire il Senato facendone una Camera delle Regioni? Ci sarebbe da discutere in merito ma, insomma, mettiamo che si riesca ad abolire il Senato oppure si metta in piedi un Bundesrat ‘da operetta’ e resta in piedi solo la Camera, il sistema elettorale era già realizzato, si era anche ridotto il numero dei deputati. Bastava prendere il mattarellum, tagliare del tutto quel 25% di proporzionale; i collegi erano già fatti, prendevano solo i collegi uninominali ed era fatta: sistema uninominale ad un turno con la riduzione del 25% dei deputati, di un quarto dei deputati. Per di più i collegi, grosso modo, erano di 100.000 persone l’uno, – dai 95.000 ai 110.000, non di più -, quindi c’era anche un buon rapporto fra il numero di elettori ed eletto. Una cosa ragionevolissima: c’era una riduzione dei parlamentari del 25% e una situazione che ti dava una governabilità, perché a quel punto, con l’uninominale, non si possono fare coalizioni od altro. Si deve semplificare per forza di cose. 
Il distacco, comunque, tra le forze extraparlamentari, associazioni, comitati e i partiti all’interno del Parlamento è evidente: da una parte si propone un proporzionale puro, dall’altra si sta tentando di imporre un maggioritario molto simile al porcellum…
Attenzione, però, questo che si sta imponendo non è un maggioritario a doppio turno. È una cosa un po’ strana: il sistema di partenza è un proporzionale…. 
…Che però prevede un premio di maggioranza
Certo, c’è un premio di maggioranza, ma che viene calcolato su base nazionale.
Il punto, infatti, era cercare di capire cosa si stesse discutente alle Camere quando da un lato si propone una cosa e da un lato tutt’altro. Anche perché, dagli extraparlamentari, la critica maggiore nei confronti dell’italicum è rivolta agli sbarramenti.
Ma, sai, gli sbarramenti altri anche lì bisogna vedere. Io, ripeto, non esiste un sistema elettorale al mondo che preveda contemporaneamente una soglia di sbarramento per la posizione dei seggi e nel contempo il premio di maggioranza. Sono due alterazioni della logica aritmetica, mettiamola così. Ce ne può stare uno, ma tutt’e due no! Questo il punto chiave.