Soldi al vento, i nostri. È il capitalismo, bellezza.

Fonte foto: Afp – Sole24Ore
La notizia ribattuta dalle agenzie di stampa, in questo caso dall’«Ansa» è davvero implacabile:
nel corso della giornata di ieri [16 marzo 2020 ndr] la seduta delle borse europee è stata al ribasso ed ha «causato uno scivolone dell’indice StoxxEurope600 * del 4,9%».
In termini monetari il crollo equivale a «255 miliardi di capitalizzazione ‘bruciati’ in una [sola] giornata».
Oggi si prova a rimodulare l’avvio delle borse, ce ne informa il «Sole 24 Ore»: «Netto rialzo per le Borse europee, che rimbalzano dopo l’ennesima seduta nera in cui l’Eurostoxx ha perso oltre il 5% e Piazza Affari è caduta del 6,1%, con i mercati finanziari colpiti dalla paura per gli effetti del coronavirus sull’economia e dalla diffusione del contagio in Europa e negli Stati Uniti. La reazione arriva all’indomani del comunicato dell’Eurogruppo che si è impegnato a prendere qualsiasi iniziativa per supportare l’economia dell’Eurozona. […] Lo status di Paese ultraindebitato e più colpito dall’epidemia fa dell’Italia un bersaglio ideale della speculazione. Specialmente dopo le parole di Christine Lagarde di giovedì scorso («Non è nostro compito chiudere gli spread»)». 

Non è responsabilità di nessuno, figuriamoci dell’Unione Europea e dei grandi capitali sanare la situazione economica dei paesi membri! Il punto è proprio l’indebitamento che genera speculazione finanziaria, una sorta di serpente che mangia la propria coda per l’eternità.
Le grandi masse di miliardi che vengono investiti, bruciati, ripresi e frutto di speculazioni finanziarie altro non sono altro che il disvelamento della reale natura del capitalismo.
Un sistema che – ogni giorno di più – mostra la sua vera natura: una rapina continua nei confronti della popolazione, inumano, evidentemente irriformabile.

C’è poi da fare anche un brevissimo commento – da post- it – riguardo le parole che riecheggiano nel lessico politico-giornalistico del capitalismo nell’era della sua estensione più selvaggia, nonché in una fase del tutto peculiare come quella della pandemia Coronavirus che sta comprimendo i guadagni dei mercati facendo pagare il conto di questa compressione a centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori.


Il termine ricapitalizzazione ci fa rivolgere la mente ad una situazione imprenditoriale italiana che è ben nota alla popolazione: Alitalia. In quel caso, in piccolo rispetto alle quotazioni azionarie di grandi indici europei e transnazizonali, le perdite le pagavano le lavoratrici e i lavoratori, così come i contribuenti: a fronte di una vasta speculazione privata di una ristretta cerchia di dirigenti in cerca di fare profitto su ogni aspetto della vita dell’azienda, il debito era scaricato sulla fascia più debole del comparto societario. Il tutto mentre la buonuscita dei manager era milionaria: assegni staccati mentre si profilavano licenziamenti di massa e i vari governi profilavano la privatizzazione di Alitalia come unica soluzione.

Questo è il capitalismo, nient’altro: socializzazione delle perdite, privatizzazione dei guadagni.
Ma i soldi sono sempre i nostri.

* Lo StoxxEurope600 raggruppa «i principali titoli quotati sui listini del Vecchio continente» [cfr articolo precedentemente citato nel collegamento ipertestuale].

Non-comprendere che Salvini e di Maio non sono antieuropeisti è (molto) grave

fonte foto: Ansa
Una cosa mi inquieta particolarmente: la non-comprensione dei fenomeni politici, anche di quelli più elementari, tanto da parte della generazione dei nostri padri (i nati fra gli anni ’50 e ’60 del novecento), passando per i cosiddetti quarantenni, arrivando fino ai miei coetanei. È il lascito della cosiddetta fine delle ideologie degli anni ’90, decretata da chi ha voluto uniformare il pensiero capitalista e del mondo occidentale, a cui la sinistra ha dato il proprio servile consenso, a partire dalla Bolognina, arrivato fino ad ora con Matteo Renzi che si è dichiarato a più riprese liberista di sinistra
L’aver posto fine alle ideologie in ambito politico ha significato un appiattimento al pensiero unico del Capitale, finendo così per avere varie posizioni più o meno liberiste da parte di tutti gli schieramenti parlamentari (ad esempio), più o meno accondiscendenti riguardo i trattati che regolano la politica europea, più o meno d’accordo sulle politiche economiche che lo Stato deve attuare, certamente assertivi riguardo la  NATO, ovviamente d’accordo su fiscal compact e affini, agitando tutto il resto come scalpo da dare in pasto a giornal(isti)ai e opinione pubblica per far scaldare un po’ gli animi nei confronti di questa o quella boutade a buon mercato (gli immigrati, il reddito di cittadinanza e così via). 
Non-comprensione è l’opposto, in negativo, del termine tutto positivo (comprensione) che indica non solo un atto passivo ma soprattutto attivo nei confronti di un dato fatto, ad esempio, ma anche della realtà più spicciola che ci circonda. Non-comprendere che la Lega, il Ministro dell’Interno, siano alfieri dell’UE e non, come hanno fatto credere a milioni di elettori, “rovesciatori dell’ordine costituito burocratico europeo”, è molto grave. 

La stessa cosa vale per il Movimento 5 stelle. In entrambi i casi si è parlato, in passato, di sforature di limiti «imposti dall’Europa», si è parlato di uscita dall’Euro per cui da un lato i meridionali non si meritavano la moneta unica e dall’altro era uno strumento della finanza che opprimeva commercianti, PMI, popolo basso e anzi «[…] se non ci liberiamo dall’Euro, il Mezzogiorno sarà una terra spopolata».

Ugualmente, ancora, si può dire (andando da una parte all’altra dello schieramento parlamentare) per le posizioni della Bonino riguardo le politiche migratorie, parlo del video divenuto quasi virale sui social e su internet in cui la senatrice di +Europa compie un discorso pieno di luoghi comuni, dunque applauditissimo dai colleghi senatori. Non-comprendere che la Bonino (anni prima) si fece portatrice di affermazioni decisamente guerrafondaie rispetto alla guerra in Jugoslavial’Iraql’Afghanistan, la Libia (e l’elenco potrebbe essere molto lungo) è tanto grave quanto il consenso che ingenuamente le si dà perché è una donna che sa quel che dice e ha carattere

Dobbiamo scegliere se continuare a farci rubare imprese e lavoro da Paesi che stampano propria moneta. O iniziare… http://t.co/cMqcypUXWd
— Luigi Di Maio (@luigidimaio) 14 dicembre 2014

Non-comprendere che il Movimento 5 stelle e la Lega siano organizzazioni politiche che basano il loro consenso sulla speculazione riguardo le posizioni assunte su temi da dare in pasto alla stampa (di cui sopra), mentre con la mano sinistra mantengono le redini del capitalismo e delle élites, è molto grave.
Questo mi spaventa e mi inquieta: la totale mancanza di discernimento trans-generazionale degli italiani.

Lo "sloganificio" e l'amministrazione di Roma

Sloganificio. Il termine viene utilizzato a ragione da Mario Sechi, già direttore del Tempo, riguardo un tweet della Raggi prima che venisse eletta Sindaco di Roma, e prima ancora della partecipazione alla campagna elettorale post-Marino/Tronca.
Dunque, quando era ancora, assieme a Stefàno, De Vito e Frongia, consigliere d’opposizione in Assemblea Capitolina, Ignatius Marinus consule
Il termine sloganificio, diffuso tramite List il nuovo progetto del direttore, è opportuno ma a cui mi sento di dover aggiungere qualcosa: non si tratta solo di sloganificio, si tratta di banalizzazione estrema (certo conseguenza del termine menzionato) e personalizzazione di un qualcosa che dovrebbe andare oltre il mero additamento del colpevole, specie nella città in questione. La politica più è litigiosa e meno sa di contare, e questo è innegabile. Quando si inizia a parlare con toni simili si va a finire, inevitabilmente, nel ridicolo. 
Prova ne è non solo il tweet della Raggi in questione: Di Battista, infatti, il 5 marzo del 2015 se ne usciva scrivendo: «Piove un giorno e #Roma diventa la città più invivibile d’Europa #SottoMarinoDimettiti». Lungi dal difendere questo o quel primo cittadino, in questa sede mi limito solo a dire che un problema enorme come la gestione e l’amministrazione della Capitale non passa per mezzo di un tweet o di un post su Facebook. La propaganda va utilizzata cum grano salis, se si vuole impostare il proprio discorso pubblico in modo propagandistico lo si faccia pure, ma poi si argomenti, quali che siano le posizioni. In questo caso i social danno adito solo ad una pletora di facile propaganda, da cui si tiene ben lontano anche il minimo contenuto.
Le questioni della città di Roma sono imponenti e nella loro grandezza determinano, per forza di cose, anche quelle più piccole o quotidiane: non c’è amministrazione della Città se vengono accettati supinamente i vincoli del patto di stabilità e del debito pubblico.

Proprio riguardo il debito pubblico, il Commissario Straordinario per il Rientro del Debito del Comune di Roma, Silvia Scozzese, relazionando in commissione bilancio della Camera dei Deputati del 5 aprile 2016, disse testualmente: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore»

Tagliando con la metaforica accétta: il Comune deve ridare dei soldi, ma “non sa” a chi.

Il famoso audit sul debito (qualora servisse a qualcosa) proposto dalla Raggi è stato solo uno scalpo da mostrare ad una parte del Movimento5Stelle, niente di più. E ancora oggi, nonostante l’anno interno di governo, i gommoni servono ancora, Virginia Raggi consule.

Primarie centrosinistra per la candidatura a Sindaco di Roma: il punto dopo quattro mesi di nomi – Oltremedianews.com

Di candidati e candidature, di nomi che si impongono e di altri che tweettano, di uomini giusti per Roma e di donne che chiedono candidature.
Punto della situazione sulle primarie del centrosinistra romano. 

C’erano tempi in cui la certezza imperava in casa PD, tempi in cui c’era il candidato forte per Roma, in cui il nome del presidente della Provincia Nicola Zingaretti era sulla bocca di tutti. Già da parecchio, ormai, si dava per scontata la sua candidatura. Ma è proprio quando qualcosa si dà per scontato che accade qualcos’altro che rimette tutto in discussione. In questo caso, il fattore che ha fatto inceppare la “macchina della certezza” sono state le dimissioni di Renata Polverini.

Ad ottobre, dunque, iniziava il totonomi per la candidatura a sindaco nella tornata elettorale interna al centro sinistra di Roma, dopo che era stata archiviata la candidatura di Zingaretti, oramai quotato in Regione Lazio.
Ad aprire le danze era stato David Sassoli, già telegiornalista del Tg1 ed europarlamentare in quota Partito Democratico.
“Bisogna essere disposti ad accettare chi vince”, affermava a metà ottobre Sassoli, dato che mentre si imponeva come candidato alle primarie un altro nome entrava a far parte della lista: Umberto Marroni. 

All’interno del Campidoglio il Partito Democratico iniziava a prendere le parti di uno e dell’altro e il consigliere Ozzimo affermava: “Il prossimo sindaco deve essere una persona con una forte esperienza, deve conoscere la macchina amministrativa alla perfezione e deve aver svolto un percorso al suo interno”.
L’on. Monica Cirinnà faceva eco ad Ozzimo affermando come Marroni rispondesse perfettamente all’identikit tracciato dal suo collega. 

Poi arrivavano altre candidature: Mario Adinolfi si candidava con un “tweet” e affermava di voler fare di Roma “una città sinonimo di futuro”; Patrizia Prestipino, ex consigliere del XII municipio ed assessore alle politiche dello sport e del turismo, tappezzava la Capitale di manifesti con lo slogan “L’uomo giusto per Roma”; in ultimo, Gentiloni era il candidato che, parafrasando il sito di “huffingtonpost.it”, poteva portare equilibro tra le sfere ex Margherita e componenti ex Ds. 

Inoltre c’erano, e ci sono il giovane candidato dello PSI Mattia di Tommaso e, in quota Sinistra Ecologia Libertà, Luigi Nieri.
Nel frattempo è passata molta acqua sotto ai ponti: Adinolfi ha lasciato il Partito Democratico per per aderire al progetto del premier-tecnico uscente “Scelta Civica – con Monti”; il nome di Marroni, assieme a quello di Gasbarra, è quasi del tutto tramontato per far posto ad un più certo Gentiloni e, last but not least, in casa Sel anche Massimiliano Smeriglio, lanciato verso la Camera, abbandona la corsa per la “porpora” di Roma Capitale. 

Tutti uomini, soltanto una donna candidata nel centrosinistra e quindi ecco la nascita spontanea di un comitato che ha raccolto già 395 firme a sostegno della candidatura di Gemma Azuni a Sindaco di Roma.
Nell’iniziativa “L’Etica in politica” svoltasi il 5 gennaio scorso, promossa dalla stessa Azuni per rendicontare coram populo il suo incarico istituzionale in Assemblea Capitolina, il comitato che chiede la candidatura del consigliere in quota Sel è uscito allo scoperto.
In una nota la stessa Azuni scriverà poi che l’entusiasmo e la partecipazione che ha condiviso con i presenti all’iniziativa le hanno dato forza per continuare nella “battaglia politica che ben potrei condurre alla Regione dove la mia competenza porterebbe ad occuparmi dei servizi alla persona, di quelli sociali, di ambiente, della salute dei cittadini e delle donne”. 

Le stesse donne che ora chiedono una sua candidatura a Sindaco di Roma: “È anche una battaglia dell’altra metà del cielo. Perché non una donna Sindaco di Roma?”