(Piccolo e triste) diario di bordo #1 – il gigante

Salgo in macchina e accendo la radio, quasi sempre a quell’ora trasmettono sedute parlamentari coi più disparati interventi. Inserisco la chiave, il quadro ai scende e il motore parte. Odo in lontananza i “mortaccitua” di qualche disputa automobilistica nata e morta nel giro di un paio di manovre azzardate nei pressi di Piazza Don Bosco. Pigio l’indice sul tasto di accensione retroilluminato della radio: la scelta numero uno è radio radicale (come te sbagli), stanno trasmettando interventi di Deputati. Prende la parola Brunetta mentre parto con la macchina. Parla riguardo l’economia sulle  così tanto dibattute note di aggiornamento del Def, reddito di cittadinanza sudditanza e quant’altro.  Lo ascolto destrutturare punto per punto il cosiddetto NaDef e subito mi assale una tristezza tale da culminare nell’espressione poco carina che quell’automobilista, certamente in torto, rivolgeva ad un altro suo simile nei pressi di Piazza don Bosco, anche se di poco mutata perché nella sua forma impersonale: limortàcci.
Il dramma della cosiddetta Terza Repubblica è soprattutto questo: che anche Brunetta (autore di cotali indimenticate e indimenticabili performances) sembri un gigante nel dibattito parlamentare, in confronto ai (s)cittadini, e al marciume leghista. Un gigante. E non è una dannatissima battuta, siamo arrivati davvero a questo tristissimo punto.

Bullo a chi?

Si è fatto un gran parlare sui giornali, sulle aperture dei Tg e non solo, dello show di Berlusconi al termine delle consultazioni della coalizione a tre Berlusconi-Meloni-Salvini. Molto rumore per nulla. La questione diventa interessante dal momento che qualsiasi commentatore, così come la stampa tutta, è caduta nel giochetto del vecchio Silvio.
«Fate i bravi», dice silvione alla stampa,  «sappiate distinguere chi non conosce l’ABC della democrazia» con chi invece la conosce bene, con evidente riferimento ai cinque stelle prima e alla coalizione in cui è inserito anche il nostro, «sarebbe ora di dirlo chiaramente a tutti gli italiani».
Pare che Di Maio si sia alterato alla battuta di Berlusconi, pare che tutto il mondo abbia rivolto l’animo a quei cinque secondi al termine della conferenza stampa più che a quest’ultima.
È evidente che la stampa italiana, presa da fremiti gossippari, non sia in grado di distinguere l’importanza di una conferenza con un lampo di un attempato signore che, per quanto influente, era in evidente stato di eccitazione da mancata considerazione del suo ruolo da parte di politica e giornalisti. Un po’ come quando i bambini pronunciano «mamma mamma mamma mamma mamma mamma» a ripetizione tirando la vestaglia della genitrice in cerca d’attenzione e, una volta ottenuta la parola, dicono cose a sproposito.  La notizia sarebbe dovuta essere, per l’appunto, l’andarsene di Salvini e Meloni che provano a frapporsi fra silvione e il microfono, data l’evidente smania da decenne che quest’ultimo ha nello scansare i due. 
Gli istinti gossippari, di cui sopra, prevalgono e fa notizia Berlusconi. Perché lui, volpone, sapeva che della conferenza stampa non avrebbe parlato nessuno e di lui ne avrebbero scritto tutte le testate: come a dire: «siete stati anni a dare del bulletto a Renzi ma non avete fatto i conti con me, io sono il più bulletto di tutti»

L'astensionismo colpisce anche (e soprattutto) il Movimento 5 Stelle

foto tratta da formiche.net

Di Maio è ufficialmente il candidato premier (*) del Movimento 5 Stelle, scelto a seguito di una votazione in cui hanno potuto votare gli iscritti certificati alla piattaforma Rousseau.
I candidati erano Luigi di Maio e altri 7 figuranti (Domenico Ispirato, Andrea Davide Frallicciardi, Elena Fattori, Marco Zordan, Gianmarco Novi, Vincenzo Cicchetti, Nadia Pisceddu), un po’ come accaduto spesso e volentieri per le primarie del Partito Democratico (quelle di Roma, in più d’un’occasione, hanno mostrato scenari analoghi, ma nobilitati dalla grande stampa per ragioni tutte politiche). Il vincitore è stato, ovviamente, il Vice Presidente della Camera dei Deputati. Ma va?!
I risultati delle votazioni li fornisce Grillo stesso dal palco di Rimini, dalla festa del Movimento 5 Stelle: i votanti sono stati 37.442, e il vincitore ne ha ottenuti 30.936. Gli altri: Ispirato  102 voti, Frallicciardi 168, Cicchetti 274, Zordan 373, Novi 543, 1.410 la Piseddu e 3.596 Elena Fattori.

Gli aventi diritto al voto, ad ogni modo, erano circa 140.000. Una situazione che fotografa un astensionismo che colpisce primariamente il sistema interno al Movimento 5 Stelle, che ha fatto dell’orizzontalità e dell’ognunovaleuno, la proria filosofia.

L’astensione che colpì il Movimento per scegliere il gruppo al Consiglio Europeo

Tre anni fa, nel corso delle votazioni online quando la piattaforma Rousseau non era ancora attiva, gli iscritti certificati del blog avrebbero dovuto votare tramite il blog di Beppe Grillo la collocazione europea per cui l’organizzazione avrebbe dovuto optare. Le ipotesi messe in campo dal gestore del portale erano tre: EFD, ECR e gruppo misto, cioè quello dei non iscritti a nessuna componente politica. L’ECR era (ed è) il gruppo dei Conservatori e Riformisti, quello a cui fa riferimento il Conservative Party (i ‘Tories’) di David Cameron e quello di appartenenza al primo partito di Polonia Prawo i Sprawiedliwość (Legge e Giustizia). L’EFD, invece, Europa per la Libertà e la Democrazia, è il gruppo di riferimento del tanto discusso e più volte rimpallato di prima pagina in prima pagina sulle testate nazionali UKIP (United Kingdom Independence Party) il cui segretario era Nigel Farage nonché della nostra Giorgi(on)a Meloni nazionale e del suo partito Fratelli d’Italia.
Il 12 giugno 2014, in sostanza, su 87.656 aventi diritto, votarono solo in 29.584. Il risultato ha consegnato la vittoria dell’affiliazione all’EFD: 23.121 voti, pari al 78,1% dei votanti, lasciando al palo l’ECR (i conservatori-riformisti), superato di poco dalla preferenza espressa per la collocazione nella componente dei non iscritti, con 2.930 voti pari al 10% di chi ha partecipato alla votazione on line.

Non un fenomeno isolato

Dunque, ricapitolando.  Sui 140.000 votanti presi in esame per la votazione che ha incoronato Di Maio leader, hanno votato solo in 37.442; per quella riguardante la collocazione nel Parlamento Europea gli aventi diritto erano 87.656 ma gli effettivi furono 29.584. Ma c’è dell’altro.
Nel gennaio del 2014 i votanti che «hanno espresso il parere vincolante sul voto che il Gruppo Parlamentare del Senato dovrà esprimere domani 14 gennaio sul “reato di clandestinità”» sono stati 24.932.
Si badi, però, che alla votazione sul reato di clandestinità, che esprimeva parere vincolante per il gruppo parlamentare (non propriamente una bazzecola) aveva diritto di voto solo chi era un iscritto certificato al blog entro il 30 giugno 2013.
Per la cronaca, comunque, 15.839 avevano votato per l’abrogazione del reato di clandestinità.
Se si continua a cercare nelle votazioni sul Blog di Beppe Grillo (prima dell’entrata in vigore di Rousseau) si nota che, ad esempio, per l’espulsione dei senatori Orellana e Campanella, gli aventi diritto erano 43.368 e i votanti a favore e contro la cacciata sono stati 29.883 e 13.489.

Il Movimento 5 Stelle, dunque, cova al proprio interno una crescente ‘astensione’ interna che aumenta man mano che le votazioni vengono convocate dal Blog. Il fatto che una zona grigia non segua il movimento nelle decisioni assunte via internet, in cui l’utente può votare questo o quel provvedimento o l’uno o l’altro candidato Presidente, è da prendere in seria considerazione.
La retorica del gli scontenti della politica votano Grillo, non regge più e a votarlo, come l’Istituto Piepoli ha spesso mostrato nelle pubblicazioni sui flussi elettorali, è sempre di più l’elettorato già politicizzato. Quello che, comunque, si sarebbe recato alle urne, indipendentemente dalla presenza dei 5 stelle sulla scheda elettorale.
E il dato, a mio parere, è decisamente interessante.

(*) Premier è un termine decisamente improprio in una Democrazia Parlamentare come quella italiana giacché non esiste. Il termine, infatti, che si usa – infelicemente – in ambito giornalistico e non, sta ad indicare il Presidente del Consiglio dei Ministri. Le due funzioni, però, Premier e Presidente del Consiglio dei Ministri sono ruoli decisamente non sovrapponibili. I due, infatti, svolgono incarichi decisamente diversi.